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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Niente di nuovo sul “fronte” virale

5 Novembre 2020
di Letizia Paolozzi

Incalza la nuova ondata di coronavirus. Dicono che possiamo difenderci meglio perché non è più una novità. Ma anche la non risposta da parte delle istituzioni non è una novità. Come non lo è che l’emergenza economica abbia colpito soprattutto le posizioni meno tutelate. Chi non arriva a fine mese; chi ha un lavoro precario, autonomo, da invisibile.
Si approfondisce la crepa tra garantiti (impiegati, operai, pensionati) e quelli del lavoro nero, delle saracinesche abbassate.
Se vogliamo tentare una rozza lettura della società, si è allargata (ancora) la fenditura tra vecchi e giovani. Ai primi viene ripetuto (ed è vero, verissimo) che sono le vittime sacrificali del virus, innanzitutto nelle Case di Riposo e dunque, per il loro bene, meglio togliersi di mezzo tramite isolamento.
I secondi, dopo essere stati nominati “bamboccioni”, “sfigati”, “sdraiati”, ora appartengono di diritto alla lista degli untori mediante movida o ritorno dall’isola di Peg.
Non sono una novità neppure le manifestazioni con i cassonetti bruciati, le vetrine spaccate, la merce rubata dai negozi del centro al grido di “Libertà! Libertà”. In piazza contro lockdown, mascherina, coprifuoco.
Dopo gli scontri a Firenze, il sindaco Dario Nardella ha detto che “non sono questi i modi per manifestare le proprie ragioni… Certo, il conflitto deve assumere forme in linea con lo svolgimento della vita democratica”. Temo che anche questo suggerimento non sia una grande notizia.
E non è una scoperta che a Torino, Milano, Roma, Napoli, Lecce, Trieste si incontrino blackblock, gruppi ultra, fasci, antifa, studenti, figli di immigrati, decisi a dare fuoco alle macchine, ai contenitori della spazzatura, ai monopattini elettrici in spregio a Greta Thunberg. Esasperazione collettiva e voglia di menar le mani mescolate. Non da oggi.
Separare manifestanti buoni e cattivi, gruppi saggi e frange estremiste, non funziona. Perlomeno nelle manifestazioni con molti maschi.
Non sta qui la novità. E non sta neppure nel continuare a dividersi tra chi ritiene queste manifestazioni un problema di “ordine pubblico” e chi una mobilitazione spontanea, un risveglio della lotta.
Piuttosto, mi pare che il mutamento consista nella direzione diversa presa dalla paura. Prima temevi il virus; adesso, hai l’ansia di non essere curato. Così, la rassicurazione la chiedi alla Asl – anche all’ospedale militare, quando mai l’attrezzeranno – al medico di base, al tampone, al vaccino.
“Signò, so’ a rota per l’antifluenzale” che non è più a disposizione della privilegiata casta, del magistrato, del colonnello, ma viene erogato seguendo un disegno da terno al lotto. Sei nella prima tranche? Eccoti vaccinato. Nella seconda? T’attacchi.
Se questa è, al tempo del Covid-19, la Sanità, a cascata si determinano alcune conseguenze. Scricchiola la fiducia. Cala l’interesse (se mai c’è stato) per il bene pubblico.
A questo punto ognuno per sé e io speriamo che me la cavo.
Quanto agli appassionati dei retroscena: si sfarina la devozione per Conte e il suo governo. Persino la minaccia “Sennò Salvini” ha minore presa.
Nel cambiamento che si è verificato, pur con molte ripetizioni e ripescaggi dal passato, varrebbe la pena di tenere in conto che si aprono due strade. Una comprende quel di più di violenza che si è messo in moto con una malattia devastante e un’economia che collassa.
L’altra strada significa prendersi cura di sé e degli altri. Il che non vuol dire rimuovere il conflitto. La Sanità deve curare tutti, giovani e anziani, ricco o povero, immigrati o cittadini della Repubblica italiana, uomini liberi o detenuti. Perché nessuno si salva da solo. Solo così salute e economia possono procedere insieme.

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