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Microcritiche / C’era una volta l’agricoltura

22 Luglio 2020
di Ghisi Grütter

NEL NOME DELLA TERRA – Film di Eduard Bergeon. Con Guillame Canet, Veerle Baetens, Anthony Bajon, Rufus, Samir Guesmi, Yona Kervern, Francia e Belgio 2019. Musiche di Thomas Dappelo, fotografia di Eric Dumont.

Vedendo il film ho pensato che la sceneggiatura è degna di un romanzo di William Faulkner. Ho riscontrato una strana coincidenza (voluta?) nel sentire cantare Woody Guthrie, il quale si ispirò proprio a Tom Joad, personaggio principale del famoso romanzo Furore, per comporre l’omonima canzone.
Il regista Eduard Bergeon – alla sua prima esperienza di film di finzione – ha scritto la sceneggiatura con Bruno Ulmer ed Emmanuel Courcol e lo ha dedicato alla memoria del padre vittima, come tanti altri, della crisi dovuta principalmente ai cambiamenti tecnologici in agricoltura e della difficoltà di tenere il passo con la modernità. Il film tratta di quasi mezzo secolo di storia agricola attraverso le vicende di una famiglia di lavoratori della terra. Così, infatti, afferma il regista: «Vengo da un’antica stirpe di contadini, figli e nipoti di contadini, sia dal lato materno che da quello paterno. Christian Bergeon, mio padre, cominciò a lavorare come agricoltore nel 1979, con tutta la passione per questo mestiere. Ha lavorato duramente insieme a mia madre perché mia sorella e io vivessimo una gioventù felice nella fattoria. Nel nome della terra è una saga familiare che vuole dare una prospettiva umana sull’evoluzione del mondo agricolo negli ultimi quarant’anni».
Nel film abbiamo dunque tre generazioni di lavoratori della terra: un padre, un autentico contadino vecchio stampo che ha sacrificato la propria vita nel lavoro dell’agricoltura e dell’allevamento delle pecore. Un figlio che dopo l’esperienza nei ranch in USA è sensibile ai cambiamenti del tempo, all’avvento delle tecnologie e dell’allevamento intensivo. Un nipote che studia per diventare ingegnere agrario ma lavora sodo anche lui nella fattoria.
Siamo nella Regione dei Paesi della Loira al confine con la Normandia. I miti americani degli anni ’60 approdarono nella campagna francese – mentre le città si erano sempre arroccate su posizioni più scioviniste – e vari agricoltori andarono a cercare fortuna nei ranch degli Stati Uniti.
Pierre Jarjeau (Guillame Canet), poco più che ventenne è uno di quelli che ritorna dal Wyoming per prendere in mano la fattoria del padre (Rufus), ormai anziano, ma che non gli regalerà il frutto delle sue fatiche pretendendo di percepire un affitto (mille franchi all’ettaro non erano pochi allora!). Pierre si sposerà con la sua fidanzata Claire (Veerle Baetens), che lo aveva aspettato con ansia.
Ritroviamo, la fattoria venti anni dopo dove Pierre, assunta una mentalità da imprenditore, si è espanso, includendo anche il pollame, e si è legato alla Cooperativa anche per ottenere ulteriori fidi bancari.
Nel frattempo anche la famiglia è cresciuta: infatti, Pierre e Claire hanno avuto prima Thomas (Anthony Bajon), un figlio maschio, e qualche anno dopo, Emma (Yona Kervern), una femmina. Con i figli Pierre ha uno splendido rapporto, anche fisico e di gioco, spinge il maschio a proseguire gli studi ma senza essere pressante. Insomma costruisce con loro un rapporto ben diverso da quello che aveva avuto con suo padre.
I debiti però si accumulano e Pierre risente fisicamente e mentalmente della fatica dell’eccessivo lavoro. Criticato dal padre per le sue idee innovative e nonostante l’amore della moglie e dei figli, cadrà lentamente in declino finendo in una profonda depressione.
Le immagini del film sono molto belle, la fotografia di Eric Dumont rende giustizia alla campagna francese a 100 km dalla costa del rinomato Mont Saint-Michel. Accurata la scelta musicale che coniuga canzoni americane dell’epoca a quelle francesi della famosa cantautrice Barbara. Le scene con i capretti (pecore e polli) sono tenere e commoventi mentre dure, ma contenute, sono quelle di involuzione psicologica del protagonista. Un’ottima prova attoriale di Guillame Canet che mostra emozioni ed espressioni diverse in vent’anni. Bravi anche tutti gli attori, dal vecchio Refus (già interprete di Mordechai nell’indimenticabile “Train de vie”) alla belga Veerle Baetens.

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