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Obbedisco nel rifugio. Ma la vita è un’altra

3 Aprile 2020
di Letizia Paolozzi

Cosa mette in scena una giornata nel rifugio?
Bé, prima di tutto il rifugio stesso: la casa. Già. Ma se la casa non è ampia, spaziosa, luminosa, del genere annuncio su “Porta Portese”?
E se ci sto da sola, 24 ore su 24? Leggere, scrivere, ascoltare musica. Pensare, riflettere. Per favore, in questo periodo i consigli non sono bene accetti.
È da sperare, una volta che mi sono rinchiusa in casa, che sia adatta a me. Perché me ne sono presa cura. Ma se, poni caso, sono un maschio (eventualmente anche una femmina ma più raramente) che non se n’è mai occupato? Desidererò buttarmi fuori, uscire, sfuggire per il selfie sullo sfondo di una fontana, mare, chiesa, palazzo, statua, scoglio. Dio, ti prego, rendimi la movida!
E se in casa ci sto in compagnia? Dovrò riabituarmi. Senza scansione di orari, in una lunga pausa del tempo. Le famiglie per quanto ci si sforzi di accreditarle nella loro meravigliosa armonia, non sono tutte un paradiso. La fila al bagno perché unico spazio per la privacy – chiamatemi il garante – non è il meglio che ci si possa augurare.
Si diceva, la violenza ha “le chiavi di casa”. Ora di chiavi qualcuno ne possiede due copie. D’altronde, dopo che il fidanzato ha strangolato Lorena Quaranta che voleva diventare pediatra, il rettore dell’università di Messina ha collegato quella morte ai rischi “della forzata convivenza”.
E’ un rifugio atipico, il mio. Il nostro. Libera, ci rende libere di isolarci per noi, per gli altri. Bisogna tagliare fuori il mondo. Eppure non “ci si salva da soli” (parola del Pontefice, sperduto sotto la pioggia di piazza San Pietro).
Comunque, se il mondo lo tagli fuori, rompi con il corpo. Tuo, degli altri. Non puoi toccare, pizzicare, abbracciare, baciare. Del corpo, se non l’hai già fatto, devi scoprire i limiti, la fragilità, la mortalità. Eppure, non posso disinteressarmi del futuro mentre il presente sta chiuso nelle fessure. Infuturarsi è un’esigenza umana. Il futuro lo attacchiamo a un rampino, gli troviamo qualche appiglio.
Primo appiglio: la quarantena. Quando finisce? Il 13 aprile. Sicuramente, oltre. Bisognerà scavallare il ponte del 25 aprile, Primo maggio. Dopo, oh dopo, tutto cambierà. Noi cambieremo. Macchè. Tornerà tutto uguale a prima.
Secondo appiglio: la tecnologia. Internet imita i riti del quotidiano andato in frantumi; on-line i gesti della lezione di yoga, l’appuntamento per l’aperitivo alle diciannove, l’incontro collettivo, la mostra di Raffaello: ciò che, per qualcuno, apparteneva alla “vita activa”. Anche la memoria del passato (la foto di me, di te a trent’anni) si regge sul mandato tecnologico. Sostituisco lo sguardo, l’ascolto (anche per questo cucinare diventa un grande, ossessivo conforto), con le app, Zoom, Google Duo, skype. Mi basta?
Magari sì, perché funziona il pensiero astratto, scisso dal reale. Per esempio: le mascherine. Un ministro ha annunciato che dovremo abituarci al loro uso. Quale uso se non ci sono?
Quanto ai non tecnologici, per loro in questo periodo è la morte civile.
Terzo appiglio (non in ordine di importanza): la cura. Di se stesse intanto. C’è una ragazza, sui social, che si trucca, si infila il piumino, si spruzza il profumo. Una voce chiede: “Dove vai, Maddalena?”. Risposta “A fare un giro in cucina”. Intanto, chi si prendeva cura di noi, le badanti, sono senza ammortizzatori sociali.
Per stare nel rifugio e nella routine quotidiana (camminata intorno al caseggiato, giornali, farmacia, fila al supermercato) si richiede obbedienza: stampare le autocertificazioni, prima la 1 e poi 2, 3, 4. Stare a distanza di un metro. Portare la mascherina (di nuovo, ma quale?)
L’obbedienza ha sostituito la responsabilità. Su questa parola, fino a poco tempo fa, sono stati scritti saggi, condotti studi, fatte ricerche. Tutto finito perché adesso la fiducia negli altri scarseggia. Meglio sospendere qualche garanzia giuridica se il cittadino ha la testa dura. Così genera invidia il lockdown cinese, il grande occhio del controllo telematico coreano. In tanti sognano la tracciabilità dei disobbedienti. Eppure, i modelli non sono buoni per tutti i paesi. Tuttavia, capisco che essere trattati da minorenni rassicuri. E poi, lo sai? gli italiani sono anarchici, riottosi.
Ancora sulla cura e il corpo. La virulenza e la trasmissibilità del Covid19 ha strappato una parte dell’umanità dal cono d’ombra in cui era reclusa per gettarla in piena luce: senzatetto, carcerati, anziani nelle case di riposo, handicappati di cui nessuno si occupa e se escono o non escono è indifferente.
Molte cose sono vietate, altre impossibili in questa fase (per esempio, abortire). Dovremo trovare sicuramente nuovi appigli per dare un senso al rifugio in cui siamo rinchiusi. Resta che, bella o brutta che sia, la vita è un’altra.

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