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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

La politica nel Pci e noi femministe

23 Febbraio 2020
di Letizia Paolozzi

Pubblichiamo il testo di un intervento di Letizia Paolozzi pronunciato nell’ambito di un ciclo di incontri di riflessione a partire dal libro di Maria Luisa Boccia Le parole e i corpi.Scritti femministi, Ediesse 2018.

Pratiche politiche e forma partito.

Intanto grazie a Luisa Boccia autrice di “Le parole e i corpi”, libro denso di possibilità per il pensare e l’agire, e grazie a Maria Palazzesi per averci chiamate a riflettere sui vari testi che compongono lo spartito di queste pagine.
Tra le donne invitate a discutere sui vari temi dei capitoli, a me è stato chiesto di ragionare intorno a “Pratiche politiche e forma partito”.
C’è all’inizio del capitolo, una citazione di Antonio Gramsci: “Odio gli indifferenti… mi da noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha dato e gli pone quotidianamente… Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia”.
E’ questo vivere partigiano, questo “impegno” come si sarebbe chiamato in seguito, a stabilire la relazione tra politica e vita, a comporre, assieme a decine di altre relazioni, la trama dell’agire collettivo come “preoccupazione” comune per il mondo che abitiamo
Il partito, in quanto punto di vista di parte, interveniva a modificare il mondo. Ma questa modificazione subirà delle profonde torsioni. Sposterà il centro del suo interesse dal mondo al buon governo come possibilità di agire per una vita giusta (senza ricordarsi dell’irrazionalità dei comportamenti umani pronti a smentire questo disegno) e infine al potere nello stare al governo. Potere di agire per gli altri e in proprio.
Perché accade questo? Perché la realtà cambia e il partito nella relazione tra politica e vita avrebbe bisogno di leggere la differenza dei sessi. E di disegnare linguisticamente, socialmente, politicamente un altro ordine simbolico.
Gesto che gli riesce difficile. Non desiderabile. Preferisce attestarsi sugli interessi del neutro maschile universale. Anche le donne? Anche. Per la passione “amorosa” che molte mettono nel difendere e sostenere il loro leader, il capocorrente, il mentore, colui che ne garantisce l’inclusione. Colui che le rassicura.
Oggi ci sono esempi di grande confusione. Basta vedere Sanremo. Il presentatore Amadeus, come suggerisce Fiorello abilissimo nel provocare una moria di ospiti, che tuttavia mette sulla scena illuminata il grande dramma della violenza sulle donne dopo aver lodato la compagna di Valentino Rossi per la sua qualità di “stare un passo indietro”. Alcune come Rula Jebreal capaci di far commuovere parlando dello stupro di sua madre, ricordando il numero dei femminicidi in Italia, quasi tutti avvenuti tra le mura domestiche. Altre, le maggiori cantanti italiane, decise a sostenere le vittime pubblicamente. É importante che questo discorso arrivi sulla scena nazional-popolare di Sanremo dopo che l’argomento, per merito del #MeToo è balzato in primo piano.
Per tornare al nostro tema, il partito per il quale la classe operaia doveva dirigere tutto, che pure aveva dato voce alla soggettività dei lavoratori, che li aveva rappresentati, non ebbe, secondo me, né la forza né la curiosità né il coraggio di guardare dentro le strutture dell’ordine sessuale.
Diciamo che l’universalismo astratto che tutto riconduce all’idea roussouiana della democrazia con la cancellazione della specificità dei corpi, è stato il tallone d’Achille del Pci.
Anche se posso immaginare la difficoltà a cambiare strada per un partito in declino che non riusciva ad approntare nuove categorie del pensiero o una nuova pratica politica.
Faccio questa affermazione perché nel mio piccolo ricordo la sofferenza quando abbandonai un gruppo extraparlamentare che mi aveva insegnato molto con il lavoro politico davanti alle fabbriche, a Roma (Fatme, Voxson), a Gela quando, da luogo di antichità ritrovate, con il suo mare chiarissimo, si era trasformata nel pozzo nero dei rifiuti sversati dall’enorme “cattedrale nel deserto” del Petrolchimico.
Comunque io supposi, eravamo negli anni Settanta, che i volantini davanti alla fabbrica, i capannelli, il contatto con gli operai l’avrei trovato di nuovo nel Pci.
Non mi piaceva e non mi piace quel mondo dove la borghesia domina e non ha coscienza del proprio dominare con la stessa naturalità che mette nel proprio essere bianca o del proprio essere eterosessuale.
Chiesi la tessera. E dal momento che avevo condanne per cortei non autorizzati, per aver preso la parola alla testa dei cortei, etc etc. in un riflesso d’ordine mi fecero aspettare un anno a darmela. Anzi fu una gentile fanciulla poi ritrovata nel Psi e oggi presa dal gruppo dei “nuovi padri” a decidere della mia attesa.
In effetti, entrai nel partito della classe operaia quando ormai la dimensione istituzionale della politica era al centro degli interessi del Pci. “Il nesso politica e vita grazie al quale è possibile la trasformazione dell’uno e dell’altro, è stato praticabile in quella forma partito in quanto organizzato” scrive Luisa Boccia.
La vita da comunità dei comunisti e dunque il tessuto di relazioni non era più molto robusto. Parco Lambro era occupato dagli autonomi del Settantasette.
Tuttavia c’era nell’aria qualcosa di nuovo. Per le donne. E io sono una donna. Dovevamo provare ad allontanarci dai compagni mariti padri. In un partito dove erano più uomini che donne, dove gli uomini contavano di più e avevano i posti alti nella gerarchia, il separatismo faticava ad affermarsi apertamente.
Certo, le donne si riunivano nelle Commissioni femminili ma alle più giovani questi spazi non piacevano mentre per le emancipate erano spazi dove occuparsi delle altre, dove aiutare, sostenere, solidarizzare con le donne, considerate vittime e deboli.
La ribellione serpeggiava e io ricordo i fischi al povero Angius. Si cominciava a dubitare di quella terribile ingiustizia per cui la distribuzione ineguale di opportunità e possibilità sembra scolpita nelle tavole delle leggi.
Il femminismo che già era comparso nel Pci ora prendeva nuove forme, più ribelli, nei primi luoghi di aggregazione monosessuati, nelle vacanze passate insieme, nelle cene dell’8 marzo tra donne, negli incontri di collettivi, di gruppi. C’era un grande piacere in questa scoperta dello stare tra donne; circolava desiderio, ci si interrogava sulla sessualità, sui rapporti con gli uomini. La proposta di inclusione lasciava piuttosto fredde.
“Il femminismo – scrive ancora Luisa – lavorò sulla pratica politica” mentre il Pci lasciava che deperisse “l’impegno in prima persona”. Fulvia Bandoli e Franca Chiaromonte riferendosi alla militanza spiegano che “definirsi un militante/una militante significava nel linguaggio dei comunisti italiani esserci ogni giorno, più precisamente ad ogni ora del giorno e della notte”. Aggiungono le due autrici di “Al lavoro e alla lotta”: “Per un certo numero di anni le donne comuniste, che stavano nel partito e contemporaneamente nei gruppi femministi, utilizzarono il termine doppia militanza”.
Per le femministe dentro e fuori dal partito c’era stato un lavoro di trasformazione di sé, dell’identità che non era più il partito, solo il partito, a darti.
Già nell’esperienza della Carta delle donne cercammo nel femminismo e nella forza sociale femminile la chiave di una nuova politica che non rimuovesse la differenza sessuale (nell’87 molte candidate furono elette dal Pci in parlamento) ma lo scontro tra Si e No, la svolta coinvolse, tra lacrime e gesti sgraziati, maschi e femmine.
La libertà è nelle nostre mani” fu il testo scritto da alcune di noi come via d’uscita dallo scontro tra Si e No. Quanto al femminismo agì contemporaneamente su due piani: quello della teoria (partire da sé, autocoscienza, pratica dell’inconscio, ricchezza delle relazioni, trasformazione dell’ordine simbolico) e di una pratica comune (che oggi, nota Luisa, manca e non è stata ricostruita dal femminismo). Questa era la politica delle donne, capace di scuotere “le fondamenta della civiltà patriarcale” con la messa in discussione della collocazione femminile in casa, in famiglia nel ruolo di madre, di colei “che si riproduce”.
Il Pci intanto si era trasformato in “istituzione del sistema politico”. A questo siamo e sarebbe anche nostra responsabilità rifletterci prima, eventualmente, di sparare sul quartier generale.

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