PARASITE – Film di Bong Joon-ho. Con Kang-ho Song, Choi Woo-shik, Park So-dam, Jo Yeo-jeong, Jeong Ji-so, Lee Sun-gyun, Corea del Nord 2019. Musiche di Jaeil Jung, fotografia di Hong Kyung-pyo-
“Parasite” è una commedia nera piena di sarcasmo e carica farsesca. Un film grottesco, ma anche metaforico, che se da un lato diverte, dall’altro inquieta perché è rivelatore dei grossi problemi sociali e di classe presenti nella Corea del Sud.
Così il film mostra gli strati sociali a Seul: quello dei ricchissimi – che vivono in una splendida villa minimalista – e quello dei poverissimi che vivono in uno scantinato dove sono infestati da scarafaggi e inondati dai bisogni degli ubriachi di passaggio e dove la connessione wi-fi sembra essere un bisogno primario.
Ancora più in basso, nei rifugi antiatomici costruiti nel sotterraneo, vivono quelle persone disperate che hanno perso tutto e non hanno di che sopravvivere.
Una famiglia di indigenti – moglie e marito sono senza lavoro e vivono del sussidio di disoccupazione – si mantiene con espedienti e piccoli lavoretti ai margini della legalità e, per guadagnare un po’ di soldi, piega i cartoni per le pizze. Abili nella truffa e nel raggiro riescono a infiltrarsi uno ad uno nella sofisticata dimora di una ricca famiglia grazie ai documenti falsi del figlio Ki-woo. Un suo amico infatti, dovendo partire per gli Stati Uniti, gli chiede di sostituirlo come insegnante di inglese della giovane figlia della famiglia Park. Così inizia a lavorare lì, nella splendida villa moderna e man mano riesce a far assumere i vari membri della sua famiglia, senza dire che sono i suoi parenti, facendo licenziare a turno gli attuali inservienti.
Il capofamiglia Ki-taek (interpretato dal famoso attore coreano Kang-ho Song) si fingerà un autista esperto, la sorella Ki-jung, una psicologa esperta di pittura che usa come metodo l’art-therapy per il bambino con crisi epilettiche, e infine la madre Chung-sook, si improvvisa una governante tuttofare. Viene così messa in scena la furbizia proletaria ai danni dei ricchi i quali sono rappresentati come persone fiduciose e ingenue e, come nel teatro boulevardier, nessuno è veramente quello che dice di essere.
Ma c’è chi sta ancora peggio: la ex governante da ben quattro anni nasconde il marito nel bunker antiatomico – che vive come i topi senza finestre e senza luce – dilaniato dai debiti e rincorso dai debitori. Infatti, il primo proprietario della villa era un famoso architetto che aveva progettato il rifugio sotterraneo nel timore di una guerra con la Corea del Nord.
Si scatenerà in tal modo una battaglia tra poveri con ricatti e violenze. A scatenare un’ulteriore violenza da parte di Ki-taek sarà l’atteggiamento razzista del padrone di casa che afferma che i poveri puzzano, uno strano odore che hanno anche quelli che vanno in metropolitana.
Come nel recente “Downton Abbey” la suddivisione tra padroni e servi avviene in verticale: sopra, ai piani alti, gli uni, sotto in basso, gli altri. La vista di questi ultimi è sottolineata dal regista Bong Joon-ho con prospettive con il punto di vista in basso – lo usava anche Yasujiro Ozu nella rappresentazione degli interni – che sembrano seguire i personaggi, specialmente nel loro scendere o salire le scale della villa e nel loro essere sempre “sotto”: il letto, il tavolo.
Come mostra Kor-eda in “Affare di famiglia”> una famiglia di truffaldini che vive di espedienti e come Yorgos Lanthimos in “Il sacrificio del cervo sacro” in cui la revanche sociale passa per la violenza.
“Parasite” – che è contemporaneamente dramma, melodramma, grottesco e satira – ha già vinto la Palma d’oro a Cannes nel 2019, primo film coreano a ottenere questo premio. È stato selezionato per rappresentare la Corea del Sud ai prossimi Oscar, nella categoria miglior film in lingua straniera.