MOTHERLESS BROOKLIN – I SEGRETI DI UNA CITTÀ – Film di Edward Norton. Con Edward Norton, Gugu Mbatha-Raw, Alec Baldwin, William Dafoe, Bruce Willis, Bobby Cannavale, Michael Kenneth Williams, Johs Pais, Cherry Jones, Ethan Suplee, US 2019. Musica di Daniel Pemberton, fotografia Dick Pope, production designer Beth Mickle –
“Motherless Brooklyn” costituisce una buona prova di Edward Norton alla regia. Tratto dal romanzo noir omonimo di Jonatham Lethem del 1999, l’attore-regista ne firma anche la sceneggiatura.
L’esordio come regista era stato 19 anni fa con un film divertente “Tentazioni d’amore”, dove un prete cattolico e un rabbino, si contendevano l’amore per una ragazza, tutti amici ed ex compagni di scuola. Norton cerca di restare il più possibile fedele all’opera di Lethem, pur volendo fare un omaggio al cosiddetto cinema hard boiled (dal genere letterario di Dashiel Hammett, Raymond Chandler, Mickey Spillane) che guarda a “L.A. Confidential” (di Curtis Hanson 1997) o a “Chinatown” (di Polanski 1974).
Ambientato nella New York negli anni Cinquanta, “Motherless Brooklyn” narra la storia di un giovane investigatore affetto dalla sindrome di Tourette, una sorta di tic nervoso che lo porta a dire ogni tanto cose strane girando la testa da un lato. È come se avesse una seconda personalità anarchica, che lo chiama Bailey e gli fa produrre suoni e parolacce: un tic irrefrenabile che aumenta nei casi di tensione nervosa e che costituisce un vero e proprio handicap.
Lionel Essrog (interpretato da Edward Norton), detto Brooklyn, è un ragazzo, un po’ come gli autisti, dotato di una memoria sorprendente, ricorda a memoria ogni dettaglio di una conversazione. Cresciuto in un orfanotrofio, dopo la morte prematura della madre, si era legato a Frank Minna (interpretato da Bruce Willis) che lo aveva preso a protezione.
Frank ha un’agenzia che, sotto copertura, si occupa di investigazioni private, dove oltre a Lionel lavoravano altre due persone: Tony e Gilbert (Bobby Cannavale e Ethan Suplee). Un giorno, dopo aver scoperto qualcosa di grosso che non ha rivelato ai suoi, viene picchiato e ucciso. Lionel si mette in testa di scoprire cosa avesse scoperto e chi erano i mandanti dell’omicidio del suo mentore.
Così il film si dispiega lungo le strade della città dove Lionel porta avanti le sue ricerche tra Harlem, Brooklin e il Queens, scavando nei torbidi rapporti dei politici amministratori assetati di potere. Facendosi passare per un giornalista del Post, conoscerà Laura Rose (la bellissima Gugu Mbatha-Raw), che lavora con la combattiva Gabby Horowitz (interpretata da Cherry Jones) contro la gentrificazione: i quartieri poveri e delle minoranze vengono acquistati e demoliti, costringendo i residenti ad abbandonare le loro abitazioni.
Il capitalismo, infatti, utilizza l’inarrestabile progresso tecnologico per sottolineare le differenze sociali e per sfruttare la povera gente. A livello urbano la costruzione di parchi e di spiagge sono il contentino populista che i costruttori danno ai cittadini newyorkesi in cambio di demolizioni di interi quartieri. L’applicazione della politica di urban renewal non tiene conto delle reali esigenze degli abitanti e, invece di incentivare le infrastrutture primarie e i servizi di quartiere, gli amministratori privilegiano le “grandi opere” creando il malcontento nella popolazione.
Verso la fine del film, nei locali di una piscina coperta, Moses Randolph (Alec Baldwin) – costruttore e Assessore all’urbanistica, la vera anima nera della città – spiegherà al protagonista come il “potere” faccia fuori ogni ostacolo si frapponga al suo esercizio, in una terribile ma esatta descrizione. Come non riscontrare un riferimento al famoso urban planner Robert Moses che in quel periodo fu Presidente della Commissione del Parco Statale di Long Island, costruì due campus per due fiere internazionali e, qualche anno più tardi, farà elaborare un plastico della città di New York in scala 1:200 per l’Expo internazionale (New Year World’s Fair) del 1964?
Edward Norton è molto bravo nell’impersonare Lionel con i suoi tic, così come aveva già dimostrato nel doppio ruolo di Aaron-Luke, lo schizofrenico protagonista di “Schegge di paura” di Gregory Holbit del 1996. Questo improbabile Marlowe condivide con Elliot Gould de “Il lungo addio” (Robert Altman, 1973) una notevole simpatia, ma anche la compagnia di un gatto, come segno del voler colmare la propria solitudine.
Splendida è la ricostruzione urbana della New York di quegli anni di Beth Mickle, così come la musica jazz che accompagna tutto il film.