La parola frontiera si sa bene che cosa significhi, ma il suo senso subisce significativi slittamenti. C’è il mito della frontiera del West; un’idea di frontiera è all’avanguardia, sfida il tempo e lo spazio per meravigliosi ardui mutamenti. C’è poi la frontiera come semplice confine. Una soglia sempre problematica, che spesso si trasforma nel fronte di guerra. Tutto deriva da un termine che indica la parte più complessa del corpo umano. La nostra fronte e quello che ci sta dietro. In un dizionario etimologico on line ho trovato questa bella metafora: “sede per alcuni del principio pensante e specchio dell’interno pensiero”. Ma ci specchiamo anche in chi ci sta di fronte. Amico o nemico che sia.
Nei giorni in cui ricordiamo un muro caduto trent’anni fa è bene riflettere su quelli, fisici, psicologici, politici, di cui ci stiamo circondando oggi.
Lo hanno fatto sabato e domenica magistrati, uomini e donne delle forze dell’ordine e delle istituzioni, intellettuali, giornalisti, artisti, convenuti a Lampedusa, per un incontro intitolato: “La frontiera del diritto e i diritto della frontiera”. Si parla delle migrazioni e delle politiche, più o meno legali e legittime, con cui si affronta il fenomeno. Occasione che si ripete dopo 10 anni, per iniziativa di Area Democratica per la Giustizia e dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’immigrazione.
E qui questa rubrica potrebbe terminare, con l’invito a chi stesse leggendo di trovare il tempo per ascoltare con attenzione quei due giorni di discussione, grazie alla registrazione integrale che ne ha fatto – sempre sia benedetta e sostenuta – Radio Radicale. Ma citerò almeno il Procuratore della Repubblica di Agrigento Luigi Patronaggio e il giornalista Gad Lerner. Il primo ha ripercorso il “caso Diciotti”, giudiziariamente ormai “chiuso”, per ricordare quale incredibile abuso di potere commise in quell’occasione l’allora ministro degli Interni, che emettendo semplici “ordini orali” privò della libertà stranieri incolpevoli su una nave militare che era “territorio italiano”. In un contesto di decreti emergenziali in assenza di qualunque reale emergenza, e in violazione di molte norme internazionali, per non parlare della nostra Costituzione.
Lerner ha sollevato, tra le altre cose dette, la questione principale: come mai le posizioni civili e democratiche emerse nella discussione a Lampedusa non raccolgono il consenso della maggioranza dei cittadini?
Leggo che Salvini cerca di presentarsi ora con un linguaggio e posizioni politiche meno “bulle”, a essere gentili. Sarà anche vero, se pure l’ambiguità con cui ha trattato fino a ora il rapporto con la senatrice Liliana Segre – l’ho incontrata, la incontrerò, ma anche no, e il proiettile più lungo comunque ce l’ho io… – non promette nulla di buono. Non gli crederò fino a quando non ammetterà di avere sbagliato e ecceduto gravemente con la storia (storiella e storiaccia) dei “porti chiusi”: non mi interessano le responsabilità giudiziarie, ma quelle politiche. Stesso discorso per i grillini allora al governo con lui.
Quanto alle varie forze e persone di sinistra – radicali e moderate – che fanno fronte contro il leader della Lega, dovranno prima o poi rispondere in modo comprensibile alla domanda di Lerner. Dove abbiamo sbagliato e continuiamo a sbagliare? Quali le parole inefficaci, le norme dannose approvate o non modificate, le inefficienze – e peggio – nella gestione dell’accoglienza e dell’integrazione, i rimossi sui rapporti con i paesi africani, l’opacità sulle cause vere che spingono uomini, donne e ragazzini a rischiare la vita per cambiare una vita insopportabile?