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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

In una parola / Si uscirà mai dalla propaganda e dall’odio?

3 Agosto 2019
di Alberto Leiss

Pubblicato sul manifesto il 30 luglio 2019 –

Oggi me la cavo citando un articolo di Letizia Paolozzi sul sito DeA (www.donnealtri.it) intitolato Violenze familiari, violenze politiche, violenze istituzionali. Si parte dall’inchiesta sui bambini di Bibbiano e l’uso strumentale che ne hanno fatto Salvini, Di Maio e Meloni, per registrare poi le reazioni di odio mediatico suscitate a colpi di fake-news dopo l’uccisione del carabiniere Mario Cerciello Rega. Per tornare sulla vicenda dei piccoli che, secondo gli inquirenti, sarebbero stati strappati alle loro madri e famiglie sulla base di perizie infondate o addirittura contraffatte.
“La famiglia – scrive Paolozzi – a volte funziona, altre no. Non in tutte si ascolta ciò che i bambini dicono. A Bibbiano donne in sofferenza hanno provato – non sono riuscite – a sostenere l’impalcatura di famiglie disastrate. E loro, queste donne sole, chi le ascolta? Se avete presente il disegno di legge Pillon sulla famiglia (…) vi sarà chiaro che si accanisce sulla donna separata con figli, progettando che mamma e papà (magari un violento conclamato) gestiscano in perfetta parità i figli. Se i figli si rifiutano, dovrebbe intervenire l’affidamento ad una “struttura specializzata”, con lo scopo del “pieno recupero della bigenitorialità del minore”. Allontanare il bambino dalla madre e dai genitori “per il suo bene” ma anche costringerlo a restare con genitori violenti e inadatti, in nome della famiglia naturale, non è violenza?”
Di fronte ai continui interventi di politici che soffiano sui sentimenti più elementari di scandalo, rancore e vendetta, qui si osserva quanto siano complesse e in ogni singolo caso uniche le dinamiche familiari che spesso sfociano in comportamenti violenti, ma anche quanto possa essere violenta – persino senza ipotizzare crimini e misfatti – la risposta istituzionale che pretenda di “mettere ordine” con immediata certezza nelle sofferenze sentimentali e materiali di madri, padri, figli e figlie.
Ma che cosa si può fare per spezzare con qualche efficacia il discorso pubblico che rincorre la semplificazione dell’odio e della propaganda?
Forse il Pd – e non solo il Pd – partito fatto oggetto di ingiuste accuse, che riattualizzano i vecchi slogan sui “comunisti che mangiano i bambini”, potrebbe rispondere affrontando pubblicamente e con la dovuta consapevolezza culturale il problema del rapporto difficile che oggi si profila tra la realtà familiare che è profondamente cambiata, aggredita anche da nuove forme di povertà e disagio, e il ruolo dei servizi sociali e degli stessi uffici giudiziari – stretti dalla mancanza di risorse e probabilmente da inadeguatezze della formazione tecnica e scientifica – per la definizione di interventi adeguati.
“Varrebbe la pena – conclude l’articolo – che un partito come il Pd, che ha governato quelle terre per decenni, piuttosto che perdere tempo nella battaglia interna, affrontasse le domande sollevate dalla vicenda. Una buona politica dovrebbe essere capace di elaborare su questioni tanto drammatiche e complesse un abbozzo di risposta. Con il linguaggio della cura e non quello della propaganda sul corpo delle vittime”.
Ecco il punto. Contro parole che solleticano i peggiori istinti solo un discorso radicalmente opposto, basato sul dialogo, sull’ascolto e sulla ricerca trasparente e condivisa della verità – una verità sempre relativa e perfettibile – può avere successo. Evitando altre “commissioni di inchiesta” che scimmiottano il ruolo della giustizia (oggi peraltro in patente crisi di autorità).

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