Pubblicato sul manifesto il 10 aprile 2018 –
Ha suscitato un certo dibattito –soprattutto sulle pagine del giornale su cui si è aperto – l’editoriale del direttore della Stampa Maurizio Molinari che il primo aprile scorso affermava: “Per l’Italia che il 4 marzo si è recata alle urne chiedendo un forte rinnovamento della classe politica è arrivato il momento di avere una donna alla guida del governo”.
Molinari non ha dubbi, una signora a Palazzo Chigi è un “interesse nazionale” per almeno tre motivi: 1) questa scelta susciterebbe un “fattore-entusiasmo” e avrebbe un potere “coagulante” capace di vincere le divisioni tra le forze politiche in campo, più o meno promosse dagli elettori; 2) “non mancano candidate valide”: ce ne sono tra le forze politiche e poi basta guardare alla nostra società reale. Magistrate, amministratrici pubbliche, professioniste eccellenti in tutto il paese; 3) l’Italia potrebbe assumere “un ruolo di primo piano nel movimento per combattere abusi e violenze di genere, garantendo ad ogni cittadino pari opportunità”, e dando risposte concrete al movimento globale del #metoo.
Ma non basta. Per il direttore della Stampa una così potente spinta alla parità di genere gioverebbe all’economia, come ormai sostiene una biblioteca di studi e ricerche. Inoltre, in tempi di terrorismo jhadista, una premier “nel bel mezzo del Mediterraneo” esprimerebbe il “soft power” più efficace contro gli estremisti fondamentalisti. Infine – ma non è certo l’ultimo argomento – “chi meglio di una donna potrebbe guidare il nostro Paese nella sfida alle diseguaglianze lì dove questo tallone d’Achille della società nazionale è rappresentato soprattutto da famiglie con figli che provano disagio per non poter coronare i propri sogni?”.
L’intervento di Molinari si chiudeva sollecitando i partiti più votati a “raccogliere la sfida”, cosa che non mi pare sia per ora avvenuta. L’editoriale ha raccolto però molti giudizi, per lo più positivi, da lettori e lettrici del quotidiano e da alcune donne impegnate in battaglie femminili e femministe come Linda Laura Sabbadini (sarebbe finalmente la “normalità di una rivoluzione” nel continente delle Thatcher, May e Merkel), Alessandra Bocchetti (“Certo mi piacerebbe, una donna con testa e cuore, che non sia uscita né dal letto dei potenti né dalla testa del Padre, una donna libera. La stiamo aspettando, ma credo che ce ne vorrà del tempo!”), Lella Golfo (“Se la Terza Repubblica non può iniziare all’insegna della continuità, l’alternanza di genere è la più dirompente e benefica delle novità”)
Un altro uomo – Massimiliano Panarari – ha condiviso l’idea contro le “logiche di fondo maschiliste e iperconflittuali” della politica e del suo linguaggio “pieno di riferimenti sessisti, esasperatamente bellicoso e perennemente delegittimante nei confronti dei rivali”.
Insomma, una donna sarebbe portatrice di una “razionalità”
politica superiore.
Siamo – da parte di alcuni fratelli di sesso – al rovesciamento di quel vecchio documento sessantottino e femminista che denunciava “il maschile come valore dominante”? Letizia Paolozzi, intervenendo sul tema in altra sede ( Alfabeta2) si è chiesta se non stia emergendo un “sessismo femminile” capovolto.
Per ora mi associo all’auspicio di Molinari. Quanto al tallone di Achille forse è un piccolo lapsus. Il nostro male non sta in una vulnerabilità circoscritta, ma in tutto un “corpo” di idee e comportamenti che rovinano le vite, anche le nostre.
Ma inneggiare improvvisamente al “valore” femminile non sarà una vecchia via di fuga?