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In una parola / Karma (o dell’Occidente a Sanremo)

21 Febbraio 2017

images-1Pubblicato sul manifesto il 14 febbraio 2017 –

Mentre scrivo (lunedì 13 marzo) non so ancora come è andata a finire la direzione del Pd, ma qualche motivo di speranza (a parte il ruolo dell’omonimo esponente della minoranza) mi è già venuto dall’esito del festival di Sanremo.
Ho notato su facebook interventi di amici e amiche di sinistra che dichiarano con qualche autocompiacimento che loro Sanremo non lo hanno guardato. Massima comprensione e rispetto.
Io, tra qualche sbadiglio e momenti di assopimento, ho un po’ qua e la seguito, più che altro ho resistito sabato notte fino alla premiazione.
Ho così scoperto le due canzoni arrivate prima e terza, che mi erano sostanzialmente sfuggite, e ho riascoltato quella cantata da Mannoia. Avevo avuto l’ìmpressione di una rassegna noiosa e rivolta al passato, con melodie pompose oppure poco significative, e testi basati su storie d’amore più o meno stucchevoli. Il tutto condito da una massiccia presenza di forze dell’ordine diversamente elogiate (fino alle dichiarazioni finali della ministra della Difesa in persona).
Invece ho dovuto constatare che per le tre finaliste era un’altra storia. Sono musiche e parole che ci dicono qualcosa del momento che stiamo attraversando, e ci inducono persino a sospettare che i gusti del vasto pubblico ascoltante e votante non siano poi così deteriorati come troppo spesso si tende a credere.
La canzone vincitrice, come abbiamo appreso direttamente dallo sponsor Tim, era già stata la più scaricata dalla rete, mentre moltissimi “clic” hanno raggiunto il post e il video in cui l’autore del testo – Fabio Ilaqua – ne “spiega il significato”, rallegrandosi giustamente che tante persone si siano interessate al senso delle parole e non solo all’orecchiabilità della musica e all’invito al ballo messo in scena da Francesco Gabbani e dal suo compare scimmia.
Karma, come forse sappiamo tutti (ma forse anche no), è una parola che deriva dal sanscrito che vuol dire più o meno “destino”, in una dimensione in cui corpo, parola e azioni sono più correlate tra loro di quanto non lo siano nelle nostre culture occidentali, un destino – ci informa il dizionario Traccani on-line – “concepito però non come forza arcana e misteriosa, ma come complesso di situazioni che l’uomo si crea mediante il suo operato”.
Ora le capacità dell’uomo occidentale di farsi buon fabbro del proprio destino sembrano pericolosamente vacillare al momento, e la canzone lo registra per così dire in modo scanzonato: “Piovono gocce di Chanel/su corpi asettici/mettiti in salvo/dall’odore dei tuoi simili/tutti tuttologi col web/coca dei popoli/oppio dei poveri”. Ecco una strofa tra le altre, in un ambiente logicamente abitato da “soci onorari del gruppo dei selfisti anonimi”. La scimmia nuda (colto riferimento a Desmond Morris) balla, e una nuova preistoria bussa alla porta?
C’è però anche una meno ironica affermazione di rivolta nella canzone terza classificata, cantata da Ermal Meta: “Cambia le tue stelle, se ci provi riuscirai… ricordati di disubbidire…”. Il cantante ha detto che il racconto contro la violenza maschile riguarda la sua vita. E sappiamo che lui – oggi cittadino italiano – e sua madre sono emigrati dall’Albania anche per sottrarsi a un uomo violento. La musica qui dimostra una volta di più che il personale può divenire politico.
Quanto a Fiorella Mannoia, col suo bel vestito rosso e i capelli rossi, ha cercato di convincerci con il consueto e intonato garbo che la vita “per quanto assurda e complessa ci sembri è perfetta. Per quanto sembri incoerente e testarda se cadi ti aspetta”. Non ci resta che crederle.

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