Rosa / Nero

uomini e donne nella cronaca di tutti i giorni

Di terra e cielo, la strada più lunga della politica

12 Maggio 2016
di Bia Sarasini

Pubblicato Su Il Manifesto 12 maggio 2016fb40f9c21030f02c7ce7f53ebae98992

Lo diceva sempre, Rosetta Stella. Sono studiosa di teologia, ma non sono una teologa. Ora che se ne è andata all’improvviso, il 10 maggio, sono queste sue parole che mi tornano alla mente. Ora che il lutto pubblico richiede di tratteggiarne il ritratto, ne incontro subito l’arte di sottrarsi alle definizioni, di spiazzare e sorprendere. Una caratteristica che le è sempre appartenuta, che fa parte del suo stile di femminista. Perché pur nel rifuggire dalle etichette e dalle appartenenze Rosetta Stella è stata una protagonista del femminismo italiano.
Parto dall’ultimo dei suoi progetti, la «Scuoletta per un uso politico della teologia», di cui era la «guida», con Gaia Leiss e insieme a Claudio Vedovati, due anni di incontri regolari per riflettere sul presente a partire dalle antiche parole della Bibbia e del Vangelo. Fedele a quanto aveva scritto in D’un tratto. Del tutto. Una femminista alle prese con Dio (Marietti, 2002), in cui aveva raccolto articoli e saggi pubblicati su «Il Manifesto», «L’Unità», «Noidonne» e varie riviste, tra cui «Bailamme», diretta da Romana Guarnieri, incontro importante: «Mi è successo di incrociare Dio. E così mi sono scoperta a fare teologia, mio malgrado, come donna non di scuola».
E insieme ricordo il «Gruppo del mercoledì», che ho condiviso con lei e con Fulvia Bandoli, Maria Luisa Boccia, Elettra Deiana, Laura Gallucci,?Letizia Paolozzi, Bianca Pomeranzi, Stefania Vulterini, gruppo che da nove anni, dal 2007 interviene su femminismo e politica, fa proposte a tutte e tutti, come il documento La cura del vivere. Mi piace ricordare in particolare, di questo lavoro comune interrotto ora così brutalmente, il «Manifesto per la sinistra», pensato da Rosetta in occasione delle elezioni politiche del 2008, con un «no» alla malinconia che oggi commuove. E gli altri libri, testimoni del suo lavoro di intellettuale femminista, studiosa della differenza sessuale incrociata alle forme del cristianesimo, soprattutto cattolico. Divagazioni sul tema del «Noli me tangere» (2010), Sopportare il disordine. Una teologia fatta in casa (2006), Sul Magnificat (2001), tutti pubblicati da Marietti. E ancora, «Balena», il gruppo nato ai tempi della guerra in Kosovo, contro la Missione arcobaleno, con il motto «mai più sole davanti alla tv», (con, tra le altre, Maria Luisa Boccia, Gabriella Bonacchi, Maria Rosa Cutrufelli, Manuela Fraire, Laura Gallucci, Marina Graziosi, Paola Masi, Tamar Pitch, Bianca Pomeranzi) un lavoro che confluì in DWF (n.47, 2000) Stanche di guerra.
Da quando nel 1982 Rosetta Stella aveva partecipato con passione all’undicesimo congresso dell’Udi di cui era dirigente, quello che aveva sciolto l’organizzazione strutturata dell’Unione Donne Italiane, a favore di una nuova forma leggera e libera dai vincoli partitici, la sua attività politica era stata nei gruppi, questa particolare forma della politica privilegiata nei femminismi italiani. Sono stati la sua attività e il suo impegno, quella a cui ha dedicato una creatività libera, fantasiosa, spesso ironica e tagliente, mai banale. Nel 1991 una sua donazione sostenne l’uscita di Via Dogana, la rivista della Libreria delle donne di Milano, partecipando alle attività per lungo tempo. Una vita che si è intrecciata per lunghi anni con quella di Luciana Viviani, insieme presero posizione pubblica a favore della regolamentazioni delle unioni omosessuali.
Eppure una cartografia, come ora via via si disegna sia pure incompleta, non rende ragione della sua presenza, e del vuoto che emerge ora, anche per me che scrivo. Non per i suoi affetti, il marito Sergio, il nipote Giovanni, il piccolo amatissimo Vihas, non per chi ha incrociato con lei passioni politiche. Chiudo questo primo ritratto con le sue parole, da Noli me tangere, in cui, sono convinta, dice anche di sé: «Se è vero che Gesù ha privilegiato gli uomini soprattutto nella e per la predicazione (…) è anche vero che, seppure a volte ma non sempre, in misura più nascosta, ha poi privilegiato le donne nella e per la rivelazione di sé, servendosi di loro per farne occasione di insegnamento e portandole ad esempio da seguire per salvarsi. Per questo forse, le donne sono più testimoni che predicatrici, più profete che sacerdoti».

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