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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

In una parola / Occidente

10 Settembre 2014
di Alberto Leiss

imagesPubblicato sul manifesto il 9 settembre 2014 –

C’è in giro una grande ansia per le sorti dell’Occidente, attaccato da est dal vecchio “Orso russo”, da sud dal nuovo “Califfato” terrorista, e insidiato al suo interno da coloro che si convertono al credo fondamentalista islamico (per non parlare di ciò che potrebbe fare – e forse lo sta già facendo – la Cina…).
Nel mainstream giornalistico nostrano – se ne è già scritto sul manifesto (tra gli altri da Tommaso Di Francesco e Paolo Favilli) – riecheggiano le invocazioni alle armi e a un nuovo vigore religioso e identitario della nostra parte sicuramente buona del mondo.
Io mi limito a consigliare la rilettura di un magistrale libretto che risale al lontano 1953: Il mondo e l’Occidente (Sellerio 1992) di Arnold Toynbee. Il grande storico inglese, che certo non potrebbe essere accusato di scarsa simpatia per le idee occidentali, sentiva il bisogno di giustificare il suo titolo con queste parole: “Nell’incontro fra mondo e Occidente, in corso ormai da quattro o cinque secoli, la parte che ha vissuto un’esperienza significativa è stato finora il resto del mondo non l’Occidente. Non è stato l’Occidente a essere colpito dal mondo; è il mondo che è rimasto colpito – e duramente colpito – dall’Occidente; ed ecco perché, nel titolo di questo libro, il mondo ha avuto la precedenza”.
Toynbee parlava negli anni della guerra fredda, e illustrava una geniale teoria: le civiltà aggredite da altre civiltà più potenti spesso si difendono imbracciando una forte eresia interna alla cultura degli aggressori. Così l’URSS, come poi la Cina, imbracciava il comunismo – inventato nel cuore dell’Europa da due intelligenti ragazzi occidentali nel 1848 – come la sua arma più potente. Nè va dimenticato che l’”Orso russo” era stato invaso dal 1610 in poi dai polacchi, dai francesi di Napoleone, dai tedeschi della prima guerra mondiale, e poi da Hitler. Tutti occidentali.
Russi, turchi, cinesi, giapponesi ecc. hanno reagito nel tempo non solo adottando le eresie critiche occidentali, ma assumendo anche la tecnologia, prima di tutto militare, e poi metodi produttivi, stili di vita ecc.
Si dirà: ma è passato più di mezzo secolo da quando scriveva Toynbee.
Però il meccanismo in un certo senso va ripetendosi: gli orribili video dell’Isis con le decapitazioni sono il frutto di chi si è impadronito di tecnologie mediatiche occidentali. E l’Occidente, da Robespierre in poi, non è certo estraneo al perfezionamento delle tecniche del terrore.
Su Repubblica un ragazzo americano ha raccontato la sua conversione all’Islam e il suo desiderio di andare a combattere in Cecenia contro i russi e a fianco della popolazione perché spinto soprattutto non dalle regole del Jihad, ma dall’educazione ricevuta nel suo paese: è giusto andare a combattere in tutto il mondo per difendere la libertà e la giustizia contro gli oppressori.
D’altra parte l’editoriale del direttore Ezio Mauro, che ha fatto discutere, conteneva accanto all’ansia difensiva identitaria e militare, anche una non trascurabile analisi del fatto che l’Occidente oggi ha paura in quanto non si sente più portatore dei suoi stessi principi e valori democratici, essendo divenuto il regno di potentati finanziari e tecnocratici fuori controllo e di disuguaglianze sociali sempre più acute e ingiustificabili.
Naturalmente bisognerebbe avere una politica, diplomatica e culturale, oltre che militare, nei confronti di Putin e del “Califfo”. Ma l’Occidente dovrebbe imparare a difendersi prima di tutto da se stesso, se intende contribuire a un esito non catastrofico di una globalizzazione di cui è stato il primo e principale agente.

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