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Microcritiche / La differenza a Sarajevo

9 Luglio 2012
di Gabriella Bonacchi

 “Dijeca, Children of Sarajevo”, film di Aida Begic –

Chi ne avra’ la possibilita’ non si perda, in autunno, Dijeca, Children of Sarajevo, film bellissimo di una giovane regista bosniaca, Aida Begic, molto premiato al Festival di Pesaro e finalmente distribuito nelle sale italiane dalla Kitchen film, a partire dal prossimo novembre. I motivi  per correre a vedere questa piccola grande pellicola non sono pochi: a partire dall’interesse per eventi e realtà che la fine della guerra guerreggiata nei Balcani ha contribuito a far ripiombare nell’antica (e feroce) marginalità che caratterizza questa parte d’Europa.

Il film ci mostra facce e vite vissute dei “figli di Sarajevo”, che si trovano oggi a vivere in una guerra condotta con altri mezzi. Bambini nati e cresciuti sotto il tiro dei cecchini, affrontano oggi , con in testa gli scoppi delle bombe serbe, i pesanti ricatti – tutti bosniaci – della sopravvivenza:  lavori malpagati, servizi sociali occhiuti e inefficienti, prepotenze di piccoli e grandi esponenti delle “cricche” locali, con iphone e suv d’ordinanaza. Sullo sfondo di ambienti urbani diroccati, e squallidi patchwork abitativi spogliati di ogni memoria, spicca il carisma della protagonista, la bella e bravissima Marja Pikic. Il suo delicato visino è cinto da un velo, che lei  drappeggia sapientemente ma implacabilmente ogni volta che esce di casa: testa e figura ne traggono tanto maggior risalto quanto più banalmente spogliate, ossigenate e tatuate si muovono – sullo sfondo – tutte le altre “figlie” di Sarajevo. La nostra bella velata non spiega il perché della sua scelta: non è una questione di fede né tanto meno della sua ostentazione, poiché preferisce non andare alla moschea e pregare – dice – a casa sua.

Eppure il velo si erge tra e lei e il  mondo circostante come una barriera solo apparentemente fragile: oggetto di disprezzo da parte dei compagni di scuola dell’amato fratello, suscita la perplessità di qualche amica che forse capisce ma certo non condivide, e il forte sospetto  degli uomini, sospesi tra il fascino e le fantasie di predazione.

Che significa allora il velo nella vita di un”orfana” di Sarajevo, che fa gli straordinari nelle cucine di un ristorante per mantenere il fratello, ultimo frammento di famiglia rimasto? 

Confesso che ai miei occhi è apparso un lembo di libertà femminile…

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