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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Pensierini (deboli) di Natale

28 Dicembre 2011
di Alberto Leiss

Tre signore al cinema – Hanno colpito anche me le parole di Susanna Camusso contro Elsa Fornero, dopo la sua risposta a una domanda del Corriere della Sera sull’articolo 18. I sindacati – ecco la domanda testuale di Enrico Marro – non ci stanno a toccare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. «Sono abbastanza anziana  – questa la risposta altrettanto testuale della ministra – per ricordare quello che disse una volta il leader della Cgil, Luciano Lama: “Non voglio vincere contro mia figlia”. Noi, purtroppo, in un certo senso abbiamo vinto contro i nostri figli. Ora non voglio dire che ci sia una ricetta unica precostituita, ma anche che non ci sono totem e quindi invito i sindacati a fare discussioni intellettualmente oneste e aperte».

Tanto è bastato al Corriere per titolare: Fornero:“Sull’art 18 non ci sono totem. E dico sì al contratto unico”. Difficile sfuggire all’impressione che il quotidiano abbia scelto di calcare la mano su quella che è una sua linea editoriale, favorevole alle tesi di Pietro Ichino, che è anche un collaboratore fisso del Corriere. Dopo quel titolo forse una reazione “dura” della Cgil e degli altri sindacati era inevitabile. Ma ha fatto discutere il fatto che Camusso tirasse in ballo l’essere donna della Fornero, una condizione che contrasterebbe con le sue scelte di politica sociale.

La lingua, in ogni caso, ha immediatamente – se pur disordinatamente – registrato il dato evidenziato su DeA da Letizia Paolozzi, che, a proposito della rivendicazione del 50%, ha osservato quanto conti in Europa il potere di una Merkel, o in Italia il ruolo di Fornero, Camusso, Marcegaglia. Al di là di quote e percentuali. Altri commenti sono seguiti, da parte di donne (Maria Luisa Agnese,  Chiara Sareceno, Marina Terragni tra le altre) e uomini (Pierluigi Battista, Stefano Di Michele). Anche Ida Dominijanni è intervenuta sul “manifesto” criticando pesantemente la Fornero, a partire dalla sua pretesa di riformare “il ciclo di vita” delle persone. Frase messa in relazione con il “governo delle vite” da parte del biopotere contemporaneo: tanto nel caso di Berlusconi che in quello del governo “tecnico”. Anche se si è passati dal Carnevale alla Quaresima. “Dall’etica del godimento – scrive Ida – all’etica della penitenza: dalla padella nella brace?”. Capisco l’interrogativo critico, ma non posso condividere l’evocazione dell’idea che una come Fornero possa essere persino peggio di Sacconi, con Berlusconi, Brunetta, Tremonti ecc. Anche se vedo che questa idea non è estranea a una parte della sinistra. A me sembra un errore di valutazione politica.

Quanto al “ciclo di vita” ho anch’io idee diverse da quelle della ministra – per esempio non credo che invocando semplicemente la “parità” si possano risolvere i conflitti di sesso tra produzione e riproduzione della vita – ma ritengo che proprio qui stia il problema: come si pensa, si  agisce, si lotta per cambiare radicalmente i termini del rapporto tra vita e lavoro, e delle relazioni che tra vita e lavoro si determinano.

Prima delle vacanze di Natale ho visto due film che mi sono assai piaciuti: “Le nevi del Kilimangiaro” di Robert Guédiguian, e “Miracolo a Le Havre” di Aki Kaurismäki. Ci sono quasi tutti gli ingredienti per una profonda riflessione sui “cicli di vita” al tempo della crisi economica che stiamo vivendo. Uomini anche pieni di ottime intenzioni ma piuttosto incapaci a governare se stessi e quello che hanno intorno, donne che al contrario sanno “prendersi cura” con sapienza degli affetti e dei bisogni altrui, conflitti generazionali drammatici, diverse idee di giustizia, una nostalgia per i buoni sentimenti che in fondo ognuno di noi è capace di provare, ma che hanno così poco corso in una società afflitta dal rancore e dalla paura. Così mi è venuta una fantasia: se Fornero, Camusso e Marcegaglia andassero a vederseli o rivederseli insieme, e poi ne discutessero pubblicamente? Forse questo aiuterebbe un confronto e anche un conflitto, magari durissimo, ma meno intriso di ideologismi e luoghi comuni.

Pensieri forti –  Vedo che continuano qua e là gli echi di una polemica – debole – contro il “pensiero debole” più o meno accomunato al “postmoderno”. A me è venuto in mente che i “pensieri forti” con cui abbiamo ancora a che fare sono il liberalismo (e la sua estrema visione liberista), il comunismo (abbiamo a che fare con il suo fallimento e la sua mancanza, ma è sempre un averci a che fare), e il femminismo. Paradossalmente liberismo e comunismo hanno una radice utopica simile: che sia meglio fare a meno dello stato. Il primo però riflette il punto di vista della libertà dei proprietari, il secondo di quella dei “proletari”.  Danno luogo a idee dell’individuo e della comunità specularmente astratte e foriere di disastri, come abbiamo visto e vediamo. Il femminismo –  almeno in alcune delle sue diverse ispirazioni – indica un pensiero e una pratica della libertà che parte dagli individui sessuati in relazione, dai loro conflitti, desideri, senza codificare un’idea di società condizionata dall’egoismo individuale o all’opposto da una visione totalizzante del bene comune. Un pensiero – dovrebbe essere ormai chiaro – che non riguarda le sole donne.

Giornalismo e privilegi – La ministra Fornero, dopo aver suscitato una polemica al calor bianco (o forse rosso) sull’articolo 18, ha pensato bene di andare al convegno dei giornalisti che festeggiavano i 100 anni dal loro primo contratto di lavoro, per ricordare che la loro categoria ha goduto e gode di qualche privilegio (anche in materia previdenziale), dovuto magari a una antica vicinanza con il potere politico. Nuovo scandalo. Però stranamente attutito sulle pagine dei giornali. Gli esponenti del sindacato e dell’Inpgi (l’istituto previdenziale della categoria, oggi messo sotto osservazione dal governo come tutti gli enti consimili) hanno protestato con veemenza. Ma non ho visto nessun autorevole commento o lo sviluppo di un dibattito (a parte la giusta richiesta di attenzione da parte del governo – per esempio sul manifesto – per le norme che riguardano i giornali in cooperativa e legati a partiti e movimenti). Eppure dai tempi in cui Enzo Forcella scrisse “1500 lettori. Confessioni di un giornalista politico” (erano gli anni ’50), le cose non mi sembrano radicalmente mutate. La continguità un po’ perversa tra la “casta” dei politici e quella dei giornalisti continua a essere particolarmente stretta nel nostro paese, anche se il mestiere e il mondo editoriale sono profondamente mutati, anzi sconvolti dalle nuove tecnologie e dalla precarizzazione del nuovo lavoro. A volte penso che anche lo spirito barricadiero con cui alcuni giornali e giornalisti si scagliano contro i privilegi della “casta” dei politici abbiamo una motivazione psicologica “inconscia”: dobbiamo dimostrare all’opinione pubblica, e forse soprattutto a noi stessi, che non apparteniamo al vostro mondo che sta andando in rovina… La provocazione della ministra, qualunque cosa se ne pensi, meritava e meriterebbe di essere discussa con la “trasparenza” da lei stessa invocata.

 

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