L’eredità dal Cav. pesa sulla politica e sul nostro immaginario, e sarebbe sbagliato rimuoverla. Nel suo linguaggio forbito e vagamente robotico – come ce lo rappresenta Crozza – Mario Monti lo ha detto a Vespa: metà del Parlamento che lo sostiene vorrebbe scelte in continuità assoluta con il governo del Cavaliere, mentre l’altra metà vorrebbe una visibile discontinuità. Assistiamo così al paradosso di una “maggioranza” che è molto preoccupata non solo di non essere identificata con le decisioni “lacrime e sangue” del governo a cui ha accordato la fiducia, ma anche di ribadire pubblicamente tutto quello che divide la destra dalla sinistra (operazione peraltro ardua, giunta fino al ridicolo delle passeggiate segrete nel tunnel). La Lega può gridare in tv che Monti penalizza i poveri e risparmia i ricchi, e quasi nessuno gli ricorda che l’alleato di ieri ha posto il veto su una vera patrimoniale e chissà su quante altre cose.
Ma sarebbe sbagliato anche rimuovere tutto il resto che il berlusconismo ha messo in mostra sollevando il coperchio della pentola in cui si consuma la crisi dell’autorità maschile con i suoi dirompenti riflessi sul rapporto tra sessualità e potere. Ne abbiamo parlato in un incontro a Bologna promosso da Maschileplurale (e chi è interessato al tema può provare a vederne la registrazione, tecnicamente non ineccepibile, cliccando su http://www.ustream.tv/channel/maschile-plurale).
Nel clima di rigida sobrietà bocconiana che si è improvvisamente e quasi magicamente sostituito al carnevale di Arcore si poteva pensare che la differenza che fanno i sessi fosse tranquillamente rimessa in qualche cassetto dello spirito pubblico. Ma non è stato così. Monti è un uomo di mondo, e sa che è successo qualcosa tra maschi e femmine negli ultimi decenni. Al punto che ha sentito il bisogno di “consultare” qualcuna che in un certo modo rappresentasse ai suoi occhi l’ universo femminile evidentemente non compreso in quella trentina di forze (forze?) politiche e parlamentari da lui incontrate a Palazzo Giustiniani.
Ma, in modo ancora più dirompente, è bastata una donna sensibile e intelligente – c’è da credere come le altre tre (due ministre e una sottosegretaria) in tutto presenti nel suo governo – a fare emergere la questione. Le lacrime di Elsa Fornero di fronte alla parola “sacrifici” hanno suscitato adesioni entusiaste – come quella di Benigni – e irritazione indignata – vedi il commento, ai miei occhi veramente sgradevole – di Odifreddi nel suo blog su Repubblica. Altrettanta discussione ha suscitato la sua irritazione di fronte alla delegazione dei “giovani”, tutti maschi con il cravattino. Se non si valorizzano le donne – ha detto più o meno la ministra – non si va da nessuna parte.
Questi atti riaprono – secondo un linguaggio assai diverso da quello ispirato dal Cav. – proprio il tema del nesso sesso-potere-autorità. E’ interessante ora vedere se e che cosa passerà attraverso queste aperture. Si tratta di una questione simbolica essenziale per il destino della politica e anche per la determinazione dei contenuti stessi della strategia per affrontare la gravissima crisi economica e finanziaria.
Al centro della “manovra” c’è infatti un pesante intervento sulle pensioni e quindi sulle vite e il lavoro delle donne, che squaderna un problema molto più generale: che rapporto esiste, nelle nostre vite reali, tra lavoro per il mercato e lavoro per la cura, quali relazioni si costruiscono tra generazioni, qual è il vero significato di termini come debito, dono, guadagno, conflitto se i valori che utilizziamo per definirli non si riducono a quelli monetari e finanziari, ormai giudicati impazziti, ingiusti, inaccettabili da quella ben nota maggioranza del 99%?
E’ ovvio che queste domande riguardano tutti, donne e uomini. Soprattutto gli uomini – e specialmente quelli che hanno tanto gridato contro lo scandalo Berlusconi – che continuano a rimuovere totalmente il semplice dato che il mondo è fatto almeno da due. Sì, qui ha ragione la ministra: se non si vede questa faccenda non si va proprio da nessuna parte.