Locale / Globale

relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Tunisia tra gelsomini e chador

28 Luglio 2011
Pubblicato il 27 luglio 2011 su "Europa"
di Franca Fossati

“Sopra i jeans torna il velo” titola Il Messaggero (24 luglio) sulla Tunisia. E’ preoccupata la scrittrice Fawzia Zouari: “è in gioco la modernità dopo cinquant’anni di emancipazione”. “Addio ai gelsomini” ribadisce l’occidentale.it. Che cosa sta succedendo in Tunisia dopo la rivolta? E, in particolare, che cosa accade alle donne?

Pochi gli approfondimenti sulla stampa, eppure Tunisi è appena al di là del mare. I pessimisti conservatori, quelli che preferivano un dittatore amico dell’Occidente a una rivoluzione dallo sbocco incerto, dicono che tutto va male e l’islamismo radicale sta penetrando anche nel paese più laico del Nord Africa. Anche Giuliana Sgrena scrive su Il Manifesto (22 luglio), che la democrazia “è minacciata da oscuri complotti”. E’ il premier del governo di transizione a denunciare un piano di destabilizzazione fomentato da integralisti religiosi.

La legge appena varata che vieta ai partiti di ricevere finanziamenti dall’estero pare proprio rivolta al partito islamista Ennahdha che riceverebbe ingenti aiuti dall’Arabia Saudita. Sta di fatto che le intimidazioni contro le donne si diffondono anche a Tunisi. Quelle prese di mira per il loro abbigliamento, scrive Sgrena, vengono fotografate. Basta un cellulare. Poche settimane fa, ricorda Dimitri Buffa su L’opinione (19 luglio), una cinquantina di estremisti islamici hanno tenuto in ostaggio a Tunisi gli spettatori del film “Ni maitre ni Allah” della regista Nadia El Fani. Ma  “in Tunisia i giovani e le giovani vogliono soldi, un impiego, una vita occidentale e magari anche la libertà sessuale –scrive Buffa- non dei barbuti imbecilli che impongano loro come devono vestirsi madri mogli e sorelle” .

Preoccupante è però il fatto che solo il 2 per cento degli aventi diritto si sono iscritti alle liste elettorali per l’elezione della Costituente che si terrà il 23 ottobre. E il 2 agosto scade il termine.

Lo studioso francese Olivier Roy pensa che “la rottura con la cultura politica dominante nel mondo arabo negli ultimi 60 anni” sia definitiva. Anche se in Tunisia può succedere quello che capitò in Europa dopo il 1848: “Avanza un partito dell’ordine che accetta la fine del clan Ben Ali ma tenta di limitare i progressi sociali” (Corriere della sera, 22 luglio).

Ci vuole tempo perché la primavera araba sbocci, dice Emma Bonino, dalla rivolta di  Budapest del 1956 al compimento del processo democratico nell’Est europeo ci sono voluti 40 anni (Il Fatto quotidiano, 22 luglio). Per sostenere questo processo il Partito Radicale ha organizzato a Tunisi i lavori del suo Consiglio Nazionale. Una scelta significativa, comunque la si pensi sui radicali, per lo più ignorata dall’informazione.

 

Featuring Recent Posts WordPress Widget development by YD