La cosa che mi ha colpito di più di questo 8 marzo è stata la notizia proveniente dal Cairo, dove una manifestazione indetta dalle donne è stata contestata da gruppi di uomini. Se ne è letto poco: le notizie che giungono dalle “rivoluzioni” africane sono sempre frammentarie e poco approfondite. Almeno non quanto si desidererebbe per provare a capire che cosa sta realmente accadendo. Questo potrebbe aprire un interrogativo sulla strana contraddizione: movimenti di massa improvvisi, sostenuti largamente dall’uso delle nuove tecnologie di comunicazione, ma una opacità nella capacità di “copertura” da parte dei media che dovrebbero aiutarci a farci un’opinione.
Resta il fatto che è ormai entrato nel senso comune del discorso pubblico che la presenza e il ruolo femminile è indicatore essenziale del grado di civiltà e di democrazia che informa i movimenti politici. Le donne egiziane che più si sono impegnate dnlla rivolta contro Mubarak sembrano oggi insoddisfatte del modo in cui gruppi prevalentemente o esclusivamente maschili si stanno occupando di riscrivere la costituzione e di inventare una nuova democrazia.
Sembra una partita aperta, in misura diversa, in tutti i paesi africani coinvolti dai movimenti che chiedono più libertà e più democrazia oltre che lavoro e condizioni di vita più dignitose.
Si confermano fondate le analisi contenute nel libro “L’incontro delle civiltà”, di Emmanuel Todd e Youssef Courbage, in cui erano previste evoluzioni anche traumatiche nei paesi musulmani, ma in direzione di una “ modernizzazione” positiva, sostenute dall’aumento dei livelli culturali, in particolare da parte delle donne: una “spia” importante di queste tendenze è la relazione tra aumento della cultura e calo delle nascite.
Un aspetto decisivo che in un certo senso accomuna la situazione in africa e la crisi della democrazia occidentale, così evidente nell’Italia di Berlusconi e di una sinistra così affaticata nel suo rapporto con la realtà, è il ruolo degli uomini, che fanno ancora troppa fatica a comprendere fino in fondo la direzione del mutamento.
Un fatto positivo – in margine al 13 febbraio e all’8marzo italiani – è la presa di parola da parte di un numero maggiore di maschi (vedi la rassegna di articoli e interventi consultabile sul sito www.maschileplurale.it). Le parole sono ancora incerte, contraddittorie. Ma forse una nuova pagina si è aperta.
Alberto Leiss
L’8 marzo delle donne di destra
“Gentile Presidente, siamo le donne che, lontano dalla ribalta, l’hanno sostenuta e continuano a sostenerla”: così cominciava la lettera rivolta a Berlusconi, firmata da 1025 elettrici toscane pubblicata su Libero il 22 febbraio. Le firmatarie deploravano “coloro che hanno creduto con l’inganno di scendere in piazza e di parlare anche nel nostro nome”, ma chiedevano al loro Presidente di ascoltare “le donne lontane dai clichè” per rinnovare la classe dirigente. Nel manifesto a cui la lettera si accompagnava era scritto che “fra la rappresentazione delle signorine in tacco 12 e quella delle massaie esiste una sintesi e quella sintesi sono le donne normali..”.
La risposta delle donne Pdl alle manifestazioni del 13 febbraio è cominciata da loro. Solidali con il Premier vittima della “gogna mediatica” e di una piazza femminile “strumentalizzata”, ma implicitamente critiche dei criteri di selezione delle dirigenti di sesso femminile. E’ il fantasma di Nicole Minetti che colpisce al cuore anche nel convegno dedicato al “Fattore D” tenuto a Roma lo scorso sabato, promosso dalle parlamentari Saltamartini e Lorenzin e gestito dalle ministre Carfagna, Gelmini e Meloni.
Certo, un convegno (tecnicamente dedicato al lavoro femminile) a totale sostegno e difesa del leader. Tanto che l’Unità scrive: “Più che Fattore D avrebbero dovuto definire questa kermesse Fattore B. B di Berlusconi, ovvio” (6 marzo). E Il Fatto quotidiano può ironizzare nel titolo della sua cronaca “Cosa non si fa per un ministero” (6 marzo).
Dalle cronache (scarse) emerge, però, anche una forte rivendicazione di orgoglio. Orgoglio femminile. “Non siamo state catapultate dall’alto nelle stanze del potere” (Carfagna). “Siamo noi la garanzia del processo riformatore del governo” (Saltamartini) “Dobbiamo smetterla con il complesso di inferiorità. Non abbiamo da imparare da nessuno, anzi gli altri possono imparare da noi” (Carfagna). “La dignità delle donne non è né di destra né di sinistra” (Gelmini). ”Questa divisione tra le donne di maggioranza e opposizione e’ assurda e fa male alla causa femminile. Abbiamo ancora molta strada da fare” (Lorenzin).
E quando Giorgia Meloni ha gridato “Non siamo né oche né guerriere” gli applausi sono stati scroscianti (Il Giornale, 6 marzo).
Le ragazze degli anni settanta avevano cominciato con il mettere in discussione la pratica politica dei gruppi e dei movimenti di cui erano parte. A partire da un nuovo orgoglio di sé, cercando di costruire un pensiero autonomo. Vien da pensare che, se questa modalità fosse riscoperta a sinistra e inaugurata a destra, qualcosa di nuovo potrebbe succedere. Ma è ingenuo farsi troppe illusioni.
Franca Fossati
”Femminista”? E’ di nuovo una bella parola
Fino a poco tempo fa femminista suonava come un insulto. Se ti andava meglio, invece, capitava di sentirsi dare della femminista con aria di scherno, magari affettuoso, ma non del tutto. Oggi, come d’improvviso, accade che molte donne, anche le più giovani, ritrovino il senso di quella parola e ne traggano forza e nuove ispirazioni.
Martedì 8 marzo, giornata centrale di un periodo tutto dedicato alle donne, di nuovo ci sono stati cortei, flash mob, spettacoli in molte città d’Italia e del mondo. Merito, per quel che riguarda l’Italia, della manifestazione del 13 febbraio scorso che ha portato in piazza un milione di donne e uomini. Ma anche merito di tutte quelle che in questi anni hanno continuato a impegnarsi in centri antiviolenza, riviste, gruppi musicali, associazioni sul territorio.
Così l’8 marzo 2011 ha ritrovato un’importanza politica che era sfumata negli anni trasformandosi, nella maggioranza dei casi, in una piacevole ricorrenza in cui si andava a mangiare la pizza tra amiche.
Perché tante donne tornano a fare politica con le altre (pur invitando anche i maschi a partecipare) e si dichiarano di nuovo femministe o, come è successo ieri alla Spezia al convegno dell’Udi cui ero invitata, alcune giovani ringraziano le femministe per ciò che hanno fatto e chiedono un chiaro passaggio di testimone?
Colpa del maschilismo imperante nel nostro arretrato Paese e delle festicciole del premier e dei suoi amici, dove il mix di denaro, sesso e potere ha avuto almeno il pregio di sdegnare tante ragazze che studiano, lavorano, si impegnano ogni giorno per cercare un impiego, sperano di diventare madri. Sono state queste ragazze a mescolare finalmente la loro rabbia a quella di tanti adulti: possibile che tv e media veicolino un solo modello di femmina in questo Paese?
E un modello di maschio soddisfatto del sesso mercenario e disinteressato a una relazione paritaria con una donna?
Basta, è un esempio troppo misero per tutti e poi a tanti ragazzi e ragazze suona assolutamente falso, vecchio, consunto.
Così a Roma, a Pescara e a Bolzano i cortei legati al gruppo nazionale di Se non ora quando? hanno infiocchettato di rosa i monumenti chiedendo lavoro per le donne e congedi di paternità obbligatori proprio per non penalizzare più l’occupazione femminile.
Anche Genova ha seguito l’indicazione di mettere al centro del suo flah mob di piazza Matteotti il tema del lavoro, ma invece dei fiocchi rosa ha portato le sveglie. Lo slogan era: noi donne siamo sveglissime, ora che si muovano i nostri amati maschi, i politici prima di tutto, per cambiare le cose.
A Milano invece sciarpe bianche (le hanno inventate loro a fine gennaio, ancor prima della manifestazione del 13 febbraio) e biciclette, sempre con al centro il tema del lavoro: alle 20 tutte in bici per una critical mass che si facesse notare nel traffico. Palermo era in piazza per il lavoro, mentre a Faenza l’8 marzo ha avuto al centro, oltre alla vecchia, gloriosa mimosa, le operaie della Omsa che da un anno lottano perché la loro fabbrica non venga delocalizzata in Serbia.
Donne diverse di gruppi non tutti d’accordo tra loro, come è normale in democrazia. Ma tanti cortei. E altri ce ne saranno nei prossimi giorni, oltre a convegni di studio e spettacoli. Chi immaginava di rivedere uno spettacolo come quello del 13 febbraio si è sbagliato. Quella era una domenica in cui molti uomini sono venuti a chiedere le dimissioni di Berlusconi, sperando che le donne facessero il miracolo che da anni non riesce all’opposizione. L’ 8 marzo era martedì e molti spettacoli e cene tra amiche erano previsti da tempo. Ciononostante le donne sono riuscite come sempre a moltiplicare il tempo ritagliandosi anche due ore per manifestare, ciascuna a suo modo, la forza femminile, la rabbia, la libertà e la gioia.
Ci vediamo il 17 marzo. Gira già lo slogan: sorelle d’Italia, fatevi sentire!
Silvia Neonato