A che servono le manifestazioni? A dare un messaggio di forza. Operai, cittadini, movimenti di protesta si esibiscono nello spazio pubblico. Per produrre un effetto sul potere politico, devono essere manifestazioni di grande ampiezza. Organizzate non solo da militanti di partito o sindacali, ma da partecipanti occasionali.
La politica delle donne si muove, invece, su altri binari. Attenta alle pratiche politiche, alle parole scambiate, niente affatto preoccupata dai numeri modesti. Tuttavia, non sarebbe giusto negare che i numeri contano, benché non rappresentino un valore assoluto. Alle manifestazioni del 13 hanno partecipato in tantissime.
In tantissime perché in larga parte coinvolte da quel femminismo che i media danno per spacciato un giorno sì e l’altro pure. Il femminismo ha insegnato quel bisogno di esserci, insieme, che in modo più complicato potremmo definire: esistenza simbolica femminile.
Volete una spiegazione di questa esistenza simbolica?
Significa: Noi siamo qui, nel mondo, e nessuno deve parlare in nostro nome. “Not in my name”. La scoperta di un senso di sé che senza i centri, i gruppi, le associazioni di donne, non ci sarebbe stato. Il senso di sé delle femministe. Sono loro ad aver criticato ciò che negli appelli in vista della manifestazione non le convinceva: la divisione tra le ragazze serie e le perdute; l’invito a difendere la dignità femminile; il triangolo Dio-Patria-Famiglia.
Sono, di nuovo, le femministe che lavorando alle relazioni, stanno provando a superare vecchie barriere tra uomini e donne. In effetti, nelle manifestazioni del 13 c’erano anche molti uomini. Un misto di leader della sinistra, mariti e compagni di sinistra delle donne di sinistra, ferventi antiberlusconiani, gruppi di MaschilePlurale, Cgil, “società civile”, ex girotondi, popolo viola. Forse mancava la generazione dei trentenni (Federico Rampini su “Repubblica”) che, in America, in Europa, viene scoprendo le proprie coetanee sempre due passi avanti.
In Italia le donne sono avanti a scuola, all’università. In molte professioni. Quando “Famiglia cristiana” considera una nemesi che il collegio giudicante di Silvio Berlusconi sia composto da tre donne, sembra ignorare che il numero delle magistrate ha superato quello dei magistrati.
E’ successo grazie ai concorsi. Se non sono truccati, le donne se ne avvantaggiano. Meno si avvantaggiano delle leggi. Eppure, il centrosinistra ci crede al punto che Bersani ha invocato una norma per mettere al passo il governo nazionale con la segreteria Pd, composta per metà di uomini e per metà di donne (ma se non sono autorevoli, anche il 70, l’80 % femminile non cambierà granché).
Comunque, nella giornata del 13 il segno del femminismo era evidente. Parafrasando Marx potremmo dire: Ben scavato, vecchie talpe!
Qualche dubbio però mi è rimasto. Intanto, dopo aver aperto il capitolo delle papi-girl, che cosa pensa il femminismo della prostituzione? Al tempo di Carla Lonzi “il femminismo mi si è presentato come lo sbocco tra le alternative simboliche della condizione femminile, la prostituzione e la clausura: riuscire a vivere senza vendere il proprio corpo e senza rinunciarvi. Senza perdersi e senza mettersi in salvo. Ritrovare una completezza, un’identità contro una civiltà maschile che l’aveva resa irraggiungibile”.
Ma gli anni sono passati. Oggi “è facile essere femministe quando c’è da appoggiare Madre Teresa di Calcutta” ha osservato la brava Emma, che con i Modà è arrivata seconda a Sanremo. Più difficile essere femministe di fronte alle ragazze di Arcore, quella “zona grigia” dove si mescolano superficialità, sicurezza nella propria intangibilità, disperazione, calcolo, ribellione, onnipotenza passando dal mercanteggiamento alla rispettabilità. Praticamente tutte hanno ripetuto: “Voglio una famiglia, un marito, dei bambini”.
Roberta Tatafiore nel suo lavoro sul sex-work guardava “al grande cambiamento e cioè si è passati dalla stigmatizzazione della prostituta alla stigmatizzazione del cliente, o comunque alla responsabilizzazione del cliente”. Quel “partire da sé”, che ricorda Nicoletta Tiliacos. E complica il quadro che un uomo tanto potente, che si permette di confondere generi diversi: notti private, dichiarazioni pubbliche, istituzioni, pacchetti da cinquecento euro, accappatoi, aerei presidenziali, sia tenuto in pugno da una ragazzina extracomunitaria, la quale apparterrebbe, se non avesse tutti quei soldi in banca, alla parte più disgraziata della società.
Altra complicazione, che un uomo tanto potente rischi il carcere per una legge – quella sulla prostituzione – fortissimamente voluta dal suo governo. Quest’uomo, ormai al declino per via della sua debolezza politica, non uscirà dal nostro orizzonte grazie alle manifestazioni. Con la raccolta di milioni di firme che lo invitano a dimettersi o delegando ai magistrati la soluzione liberatoria. Naturalmente, una politica in difficoltà al punto che i parlamentari sottoscrivono versioni immaginifiche come quella “della nipote di Mubarak”, può sperare che la questione del berlusconismo si risolva in un’aula giudiziaria, trasformata in presidio di moralità. Ma perché le donne, così forti rispetto a una politica tanto debole, dovrebbero acconciarsi a un simile ripiego?