Il bello delle donne è che sono fra loro diverse. Lo dimostra il dibattito, acceso e finalmente pubblico, sulle motivazioni per cui essere ( o non essere) in piazza il 13.
Le argomentazioni rivelano desiderio di partecipare, impegno, e svelano un’identità femminile davvero plurale.
Ho aderito alla manifestazione. Sarò in piazza a Milano, e spero che saremo in tante e in tanti.
Ci sarò per ciò che sono: una donna che fa politica nelle istituzioni e nel PD, che si cimenta da tempo nell’arduo cammino della libertà femminile, che crede che dal fango in cui è finito il paese si possa uscire solo attraverso un nuovo patto fra uomini e donne: un patto culturale, economico, sociale.
La miseria berlusconiana, estesa e difficile da sradicare, è certamente morale, ma le motivazioni per chiedere le dimissioni di Berlusconi hanno il dovere di essere politiche.
La cornice di costume è inquietante, ma non recente. Voci solitarie si sono levate nel ventennio trascorso per denunciare le conseguenze del passaggio da cittadini a consumatori di beni, prodotti, immagini, corpi femminili. Ma a differenza di altri paesi l’Italia non ha espresso una legislazione di cautela e di difesa della dignità.
Il sistema mediatico, oppresso dalla concentrazione proprietaria, si è sostanzialmente adeguato alle ragioni del mercato, in una corsa al ribasso della qualità dei contenuti che ha contribuito all’assopimento delle coscienze maschili e femminili. Il tutto nel far west di una comunicazione senza regole.
La continua radicalizzazione imposta da Berlusconi e dalla destra ha paradossalmente eliminato il conflitto e ha reso impossibile la mediazione, la riflessione, il passo in avanti della vita civile su tanti temi, consegnandoci alle tifoserie di tipo calcistico come forma populista del bipolarismo etico in cui il paese e tutti noi siamo confinati.
Possiamo rompere questa cristallizzazione?
Possono farlo le donne uscendo da un’autorappresentazione come soggetto debole?
Tutte ci siamo sentite offese nella nostra dignità, ma la risposta oggi non può essere solo l’indignazione, lo hanno detto in molte, e condivido.
Le donne italiane sono forti, anzi fortissime. Lo dimostra come tengono botta alla crisi, come giorno per giorno continuano a fare mille cose contemporaneamente, come studiano, lavorano, curano gli affetti e se stesse, come percorrono chilometri nelle grandi città e piccole strade nei mille comuni di giorno e di notte, e come desiderano l’autonomia del loro progetto di vita.
E’ in nome di questa faticosa normalità che andrò in piazza, per dire che è ora di premiare capacità e intelligenza nella vita pubblica, e per ridurre la distanza fra la politica delle donne e le donne italiane.
E’ chiaro che oggi la questione all’ordine del giorno è quella maschile, fatta di identità deboli ma forti del potere, di parzialità dalla pretesa universale, di opacità discrezionale nelle scelte.
Infine: cos’è la morale pubblica?
Siamo dibattute fra comune senso del pudore e pubbliche virtù.
E’ un grande rischio.
La rivoluzione femminile non può presentarsi nel nuovo millennio con inclinazioni restauratrici, o peggio, fondamentaliste.
La cultura del rispetto e della dignità richiede di superare i pre-giudizi.
Concussione e prostituzione minorile: questi i reati contestati a Berlusconi, su cui la magistratura farà il suo corso.
Basterebbe già questo per chiedere le dimissioni di un premier.
Il resto sarebbe triste senilità se non si trattasse di un uomo politico, dunque pubblico, che dovrebbe essere un esempio, il cui comportamento invece dimostra disprezzo di un’etica pubblica condivisa.
Possiamo rilanciare con messaggi positivi il valore di una sessualità libera e responsabile, e dire con più forza che la sessualità è fatta di relazione, dialogo, riconoscimento dell’altro, scelta, amore, desiderio, piacere, cioè è strada di consapevolezza di sé?
Ogni donna è sola con se stessa quando decide sulla propria sessualità, e ne risponde in proprio.
Credo che nessuna e nessuno abbia il diritto di giudicare.
Alla sfera pubblica compete la crescita di una cultura del rispetto e della dignità.
Ma la storia delle donne ci dice del passaggio dell’esperienza da una generazione all’altra.
E’ l’autorevolezza del sapere femminile che dobbiamo saper comunicare.
E praticare, senza autoritarismi, con generosità, pronte a riprenderci il futuro.
Berlusconi non ha distrutto la dignità delle donne. Lo potrà fare solo se noi glielo permetteremo.