“Una piazza è sempre più avanti e più indietro di quanto si pensi” scrive Paola Melchiori su gli Altri (18 febbraio). Si riferisce alla piazza delle donne, “più avanti, perché esprime una presa dello spazio pubblico da parte di qualcosa che si è accumulato e non ha ancora avuto né voce né espressione; più indietro perché nella piazza si amalgano e occultano tutte le differenze…”.
Inaspettate, così tante e così dovunque da sorprendere le stesse promotrici. La domanda è: quale sarà il seguito? E, soprattutto, ci sarà un seguito?
Tutti se ne sono compiaciuti, a sinistra. Tutti, (anche le donne purtroppo), hanno minimizzato e ridicolizzato, a destra. Dispiace constatare che a rifletterci sopra, finora, siano solo i piccoli giornali e i siti Web delle femministe.
Un grande giornale come Repubblica che ne è stato sponsor se l’è cavata con qualche commento trionfalistico. Idem il Corriere della sera che pure si era aperto al dibattito del prima.
“Le donne hanno un paese caricato sulle proprie spalle” aveva scritto Norma Rangeri (Il Manifesto, 15 febbraio) e “sono consapevoli della necessità di far fronte tanto alle macerie del berlusconismo quanto alle sconfitte della sinistra”. Sì, ma come?
Eppure “la tendenza –scrive Ritanna Armeni (Il Riformista, 15 febbraio)- da parte di tanti uomini amici, compagni e solidali sarà quella di ringraziarci per aver fatto la nostra parte e di ritornare sui vecchi binari e sulla vecchia politica”. Ai giudici le sentenze, alle donne le piazze, agli uomini la raccolta dei frutti.
In verità ci sono uomini, pochi ma non insignificanti, che hanno cercato di partecipare andando oltre “il modello del sostegno solidale o dello sdegno virile” (Stefano Ciccone, gli Altri, 15 febbraio), riconoscendo di non avere parole adeguate (“l’impaccio verbale”) per nominare la relazione tra i sessi in modo non scontato (le “nostre” compagne, mogli, figlie, madri).
“Ciò che mi preoccupa –aveva detto infatti Raul Mordenti su Liberazione– non è Berlusconi in sé, ma Berlusconi in me”. Ed è un uomo, Alberto Leiss che, polemizzando garbatamente con Adriano Sofri, invita a riconoscere “una cultura politica femminile e femminista molto ricca e varia” che “sarebbe l’ora da parte di chi fa politica e di chi scrive sui giornali di studiarla finalmente un po’, almeno con lo stesso interesse con cui si discute, che so, dell’ “azionismo” di Eco e del “liberalismo” – si fa per dire – di Ostellino” (donnealtri.it).
E’ un fatto che le parole della politica non si sono fatte contagiare. Continuano a ripetere se stesse. Saranno capaci le donne di rinnovarle o si accontenteranno di qualche candidatura alle più o meno prossime elezioni?