Sit-in del centrosinistra. Cartello: “Non mettere le mani su mia figlia!”. Altro cartello: “Non ti darò la mia donna”. Il segretario del Pd all’assemblea democratica: “Noi maschi saremo con le donne che il tredici vanno in piazza, se non altro perché conosciamo le nostre mogli, le nostre compagne, le nostre amiche, le nostre figlie e le rispettiamo come persone”. Ma cos’è questo lapsus proprietario con il sapore del patriarcato?
Va bé, dall’altra parte ci sono le notti di Arcore. Imparagonabili, evidentemente. Ma se “i limiti del linguaggio sono i limiti del mio mondo” (Wittgenstein) qualche dubbio una se lo fa venire. Non sia per ostilità, tuttavia quando i maschi – leaders o impegnati militanti in favore della “questione femminile” – si avvicinano alla politica delle donne, combinano più guasti di un elefante nel salottino con cristalleria. Sì, ci rendiamo conto: la politica delle donne è terreno accidentato. Richiede attenzione.
Anche perché (la politica) è percorsa da contrasti, discussioni, conflitti. Se ce ne fosse bisogno, lo testimoniano le prese di posizione pro e contro la manifestazione del 13. Pure tra le donne che non possono essere iscritte al “berlusconismo” ce ne sono di contrarie alla manifestazione. Ma a questi signori nessuno glielo ha spiegato.
E si capisce. Nei media, le posizioni critiche viaggiano al più su testate di nicchia e su internet. I giornali (non parliamo della televisione) – soprattutto quelli che patrocinano la manifestazione – si occupano poco di registrare le posizioni diverse. I giornalisti (con le dovute eccezioni) una cosa hanno in antipatia: sporcarsi le mani con una materia – sempre la politica delle donne – troppo complicata, a volte fumosa, che non si presta a essere spettacolarizzata. Tranne quando viene frullata nel “Berlusconi dimettiti”.
Poi ci sono le giornaliste. Molte suppongono che il solo fatto di essere donne gli sia sufficiente. Infine, molto attenti ai media ci sono gli staff, i consiglieri dei leaders di ogni genere e grado che Bersani non l’hanno sconsigliato sulla scelta della data – 8 Marzo di mimose ma anche di operaie morte – per consegnare a Palazzo Chigi i dieci milioni di firme.
Che strano! Il premier Berlusconi con le sue notti di Arcore avrebbe ottenuto proprio un paradossale risultato: pure gli uomini che lo criticano tendono a riappropriarsi delle donne?
Rosy Bindi avverte: attente, stiamo tornando indietro “ricacciate in una condizione di donne oggetto”. Le firmatarie degli appelli, convocazioni, adesioni a manifestazioni si sono precipitate a spiegare che non siamo merce, oggetto, ricattatrici, vampire, sesso permale. Della vecchia affermazione “Io sono mia” si sono perse le tracce. Dimenticata. Non non siamo come le ragazze di Arcore.
Ovvio. Le attrici sessuali della rappresentazione pubblica andata in scena in quelle notti non sono le nostre compagne di strada benché non sia un buon motivo per buttarle in strada. Sfrattate da via dell’Olgettina.
Ora perché dovremmo distinguerci da loro? Non è un nostro problema scendere in piazza per testimoniare che siamo diverse. In questo contesto di precarietà globalizzata, dove ci si arrabatta, soprattutto le più giovani, preferiamo diffidare dei racconti che tracciano una divisione tra la donna dotata delle meravigliose attitudini del femminile (per la pace, la cura, il materno) e quella pronta a titillare in tv le fantasie porno che si suppone adatte al maschio.
Non sappiamo quanto i maschi siano contenti di un simile trattamento (qualcuno comincia a dire di no, che non gli piace per niente). Certo, l’abbiamo detto molte volte che le donne, che noi non siamo tutte eguali. Perbene o permale. Eppure, questi discorsi sembrano acqua che scorre sul marmo. Cadono le braccia di fronte a una simile smemorataggine. Ogni volta bisogna ricominciare daccapo.
In effetti, al momento della manifestazione di Milano del 2006 (“Usciamo dal silenzio”), ci toccò sommessamente osservare che in silenzio non c’era stata nessuna. Adesso che Bersani spiega: il 13 andremo anche noi, visto che accettano anche i maschi, ci tocca rassicurarlo che già a Milano gli uomini sfilarono nel corteo.
Il problema è l’obiettivo della manifestazione. Sicuro, mandare via Berlusconi. Ma c’è qualcosa d’altro? Del rapporto tra sessualità (maschile) e potere (anch’esso in genere maschile) e che non riguarda solo il premier, non ci dicono niente. Non ci spiegano cosa fanno nel loro mestiere di politici per mettere a tema (e cambiare) le distinzioni gerarchiche e sessuate.
Perciò, ci auguriamo che la manifestazione – nata peraltro sotto il segno dell’antiberlusconismo al femminile ma anche di un vero sentimento di indignazione – non si risolva a spese delle donne. Appropriarsi del nostro sesso e raccontarlo in modo tanto semplificato, non aiuta affatto a aprire un discorso pubblico sullo stato delle relazioni tra i due sessi, e quindi su una politica così povera, scissa dalla vita reale delle persone.