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Alle donne chiedo un linguaggio diverso

13 Febbraio 2011
di Stefania Bernini

Il desiderio di opporsi a Berlusconi (pienamente condiviso da chi scrive) può davvero giustificare la creazione di stereotipi nei quali spero in tante facciamo fatica a riconoscerci? E’ importante l’invito di Chiaromonte e Paolozzi agli amici delle donne a far attenzione a quel che dicono, ma ancora più sorprende mi pare la poca attenzione al linguaggio da parte di tante donne.
L’insistenza delle promotrici della manifestazione del 13 Febbraio sulla maggioranza delle donne, sulla normalità, sulla stessa difesa della dignità mi lasciano perplessa, perché contengono pericoli che dovrebbero apparirci ovvi. La divisione fra ‘noi’ e ‘loro’, fra le donne che faticano, lavorano e si alzano presto la mattina (per ripetere ancora una volta il leit motiv di questi giorni) e la minoranza deviante che usa il proprio corpo per tagliare gli angoli, si può forse spiegare con l’indignazione e l’esasperazione provocate da una società in cui le possibilità per le donne non solo non crescono ma sembrano restringersi.
L’indignazione e’ importante, ne sono convinta. Ma, permettetemi di dirlo, non basta. Di più, se non va insieme all’analisi, rischia di far danno.
Fra le tante cose sentite in questi giorni, mi colpisce l’insistenza sull’idea che la maggior parte delle donne sia altro rispetto al ‘modello Arcore’. Mi pare un’osservazione ovvia. Lo sappiamo. Ma che significa? Forse vale la pena ricordare che ‘la maggioranza’ e’ stata spesso usata per negare i diritti di chi maggioranza non e’, o di chi ha meno voce. Spesso, proprio le donne.
Tanto per fare un esempio recente, i supposti valori della maggioranza degli Italiani (e delle Italiane?) e’ stata invocata per negare legittimità al desiderio delle coppie omosessuali, non dico di sposarsi (non sia mai!), ma persino di vedere in qualche modo legalmente riconosciute le loro unioni.
E gli stessi ammiccamenti ai valori della maggioranza si ripetono puntualmente in ogni discussione sui diritti legati alla sessualità, alla riproduzione, all’emergere di forme nuove di genitorialità e di vita comune, che in Italia ancora faticano a trovare una dimensione di discussione pubblica. Berlusconi poi, della maggioranza ha fatto la bandiera di un potere al di sopra di ogni controllo. Non mi pare un modello da imitare.
L’invito di Concita De Gregorio a mobilitarsi in nome di una solidarietà femminile fra le generazioni (mobilitatevi, madri, nonne, figlie, nipoti) può sembrare appropriato in una società che continua a ruotare (nel bene e nel male) intorno alle reti familiari. Ma e’ davvero questa l’unica identità che da donne vogliamo sostenere?
Come ha scritto bene figliefemmine.it, una identità tutta interna alla logica eteronormativa, alla famiglia tradizionale, mi viene il dubbio, persino al matrimonio? E davvero ci basta scandalizzarci di quella ‘minoranza’ di padri, fratelli e fidanzati che incoraggiano le donne a prostituirsi? Non mi stupisco quando alcuni uomini fanno l’apologia delle ‘famiglie normali’, ma che tale implicita difesa venga dalla donne mi colpisce. Perché rischiamo di diventare superficialmente acquiescenti proprio nei confronti di quelle istituzioni che il pensiero delle donne ci ha insegnato a guardare criticamente.
E’ nelle famiglie normali, all’interno delle quali nessuno guarda, che si compie la violenza sulle donne e sui minori; e conviene tenere a mente che le istituzioni religiose, anche loro acriticamente invocate in questi giorni, quasi che avessimo bisogno di una giustificazione esterna per esprimere il nostro dissenso, raramente hanno sostenuto la libertà della donna. Quando hanno parlato di dignità (e l’hanno fatto spesso) e’ stato per darci norme di vita e regole di comportamento.
Mobilitarsi contro Berlusconi e’ necessario; ma e’ altrettanto necessario farlo con un linguaggio diverso, che abbandoni i concetti di normalità e maggioranza e metta invece al centro la differenza, la pluralità, e il diritto delle donne ad essere molteplici ed eccentriche, anziché normali e normalizzate. Non solo, vorrei che ci mobilitassimo con la stessa determinazione e la stessa indignazione, quando sono i diritti delle minoranze ad essere negati.

Stefania Bernini
School of History and Philosophy
University of New South Wales, Sydney
[email protected]

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