Merci / Desideri

produrre e consumare tra pubblico e privato

Che cosa insegna (e consegna) il referendum Fiat

16 Gennaio 2011
di Letizia Paolozzi

Il referendum alla Fiat ci consegna un sacco di cose. Intanto, il risultato, giacché il Sì vince di misura. Un buon risultato, un risultato efficace che ha reso vana la minaccia dell’ad Marchionne di fare le valige qualora avessero vinto i No. I No ci sono stati e Marchionne non potrà prescinderne se vuole governare la fabbrica.
Hanno ottenuto questo capolavoro operai e impiegati (ma sì, pure gli impiegati).
Onore al merito. In totale, 2736 voti per il Sì. 2326 voti per il No. Il voto operaio spaccato praticamente a metà: 50,10% di Sì; 49,90 di No. Quanto agli impiegati 421 voti per il Sì, 20 per il No. Il 4,54 % . Eppure, a quel 4,54% delle condizioni peggiorative della “nuova” organizzazione del lavoro imposta dalla multinazionale (la diminuzione delle pause; lo spostamento della mensa; i turni) non importava granché. Sono gramscianamente “uomini (e donne) in carne e ossa” anche loro, ma sanno poco o niente di quella fatica fisica che significa avere la vescica gonfia, la schiena piegata, gli occhi che bruciano, il sudore con il grasso appiccicato addosso.
Dunque, venti voti che significano un rimescolamento sempre possibile. Un legame tra corpi e menti al lavoro, pur nelle differenze dei lavori.
Inoltre, nella partecipazione altissima al referendum si può leggere una affezione alla democrazia, una voglia di infilarsi nei suoi pertugi. Democrazia che sarà piena di guai e vacillante, ma alla fine significa partecipazione dal basso che difende la tua cittadinanza sociale: ovvero l’affitto da pagare, i diritti da non perdere.
Un gruppo di delegate operaie Fiat ha chiesto orari flessibili per il lavoro di “cura”. Non è una condanna questa richiesta e un incatenarsi volontario al suocero, ai bambini, alla casa. Magari suggerisce che c’è nella vita una centralità del lavoro necessario per vivere, relazionale, di “riproduzione” e che è molto di più di quello scambiato per un reddito. Visto così, promette un rovesciamento del modello di sviluppo in cui viviamo, un cambiamento di prospettiva non solo per le donne ma anche per i maschi.
In occasione del referendum ci sono state anche delle uscite poco dignitose. Per via della globalizzazione tutto andava accettato. Si astrologava sulla pioggia di Sì che avrebbero cancellato i No. Dopo lunghi silenzi in cui mai ha avuto in mente un ruolo di mediazione, di composizione, di ricerca di una soluzione, il premier ha dichiarato che Marchionne avrebbe avuto ragione ad andarsene di fronte all’eventuale vittoria dei No. Previsioni fallite.
E sfarinata l’operazione Sacconi (ministro del Lavoro a tempo perso, quando non si dedica a stringere le maglie del testamento biologico) che consisteva – tanto per cambiare – nel benedire la divisione tra sindacati.
Adesso Bonanni e Angeletti dovranno domandarsi che tipo di rapporto hanno con la propria base. In fondo gli iscritti alla Fiom sono all’incirca il tredici per cento e le tute blu non sono al centro dell’attenzione. Bunga bunga e notti ad Arcore sollevano molta più curiosità. Però dal referendum bisognerà trarre qualche insegnamento: perlomeno che il lavoro ha ancora una sua dignità.

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