Rosa / Nero

uomini e donne nella cronaca di tutti i giorni

I 27 muscoli facciali del mostro

21 Ottobre 2010
di Letizia Paolozzi

Di Avetrana, da più un mese sotto i riflettori, io non so nulla. Non so se ha un cinema, una libreria, qualche piccola impresa; se a lavorare gli uomini si spostano a Taranto, se compaiono ulivi centenari lungo la strada, se vi si conserva un esempio di barocco salentino. E poi, come hanno votato i cittadini e se sono elettori di Nichi Vendola.
Avetrana è fuori dal nostro mondo, dalla vita quotidiana. Abitata da un mostro che poi sta trasformandosi in vittima. Qui si scambiano i ruoli, l’assassino diventa vittima, l’accusatore accusato. Ogni giorno una nuova versione. Chi scrive lettere di insulti, chi porta fiori e chi peluches. Gli abitanti hanno radici mediatiche. Parlano in tv, dialogano con i cronisti sui giornali. Intanto disegnano comunità chiuse, come i Misseri e gli Scazzi, oppure comunità esplose per via della televisione?
Eppure, non è sicuro che la televisione sia la causa di tutti i mali. Il mezzo è il messaggio. La mamma di Sarah l’ha capito. Senza i riflettori, le crudeltà, le oscenità, Sarah non sarebbe mai stata trovata. A questo sono serviti i quaranta giorni di Concetta, la madre, a “Chi l’ha visto?”, con le foto della figlia, i parenti stretti intorno e le fiaccolate, i cortei, gli appelli. Una figlia ritrovata grazie alla televisione.
Il padre vero è comparso poco e niente; il fratello di Sarah conserva la presenza di un folletto. Eppure, gli Scazzi sono una famiglia, tra le tante di Avetrana, che della famiglia nascondono i segreti, le disperazioni occultate, l’assenza di un confine tra bene e male.
Si parla di abusi, incesto, pedofilia. Di uomini cattivi perché la vita è stata cattiva con loro, di uno zio che magari vuole coprire la figlia; di una figlia che magari ha paura di ciò che Sarah poteva – voleva?- raccontare della cugina, dello zio.
Quanto alla madre, viene definita “anaffettiva”. Non ha pianto e questo è un segno che non convince il telespettatore. Certo, non ha versato una lacrima Annamaria Franzoni, non la versa Concetta Spagnolo con la sua faccia drammatica, arcaica. Subito smentita dalla citazione post-moderna: “Mia nipote, Sabrina, sarà come una seconda Franzoni, non confesserà mai”.
E la stampa?
Giornalisti a bivaccare da giorni davanti alla porta del “maledetto” garage. Scrivono il pezzo sulle famigliole scese a immortalarsi vicino al pozzo anch’esso “maledetto”. Moraleggiano i professionisti della carta stampata, gli inviati delle televisioni. Seminano morbosità; poi si pentono. “Abbiate equilibrio” ha esortato, quando i buoi erano già scappati dalla stalla, il geniale direttore generale della Rai, Masi.
La televisione in questa storia ha contato tanto. Una ragazzina, la vittima, sognava di fuggire e poi di tornare al paese famosa (grazie alla televisione); l’altra ragazzina, forse colpevole ma che nega disperatamente, dopo l’interrogatorio in questura, ha chiesto: “Cosa hanno detto in televisione?” Il fratello della vittima, piercing al naso, corre a “La vita in diretta”. D’altronde in Italia la televisione ha fame di “fatti criminali” (lo dice la ricerca dell’Osservatorio europeo per la Sicurezza). Spiega Ilvo Diamanti (“La Repubblica”) che il crimine costituisce una passione mediatica nazionale: da noi l’11 % di notizie è di cronaca nera, in Germania il 2 %.
Nella storia di Avetrana ogni dieci minuti compare un esperto, uno psicologo, un criminologo. Gli uomini del Rac, il Reparto analisi criminologiche dell’arma, ha analizzato, registrato, filmato il comportamento di Michele, Sabrina, Concetta, Cosima. Si sono insospettiti per la “sovraesposizione mediatica” di Sabrina; hanno buttato lì che era gelosa della cugina, che voleva sostituirsi alla madre accanto al padre, con una “supremazia maschile rispetto al suo ruolo di figlia”. In definitiva, la prova della sua colpevolezza l’hanno ravvisato nel fatto di “toccarsi i capelli”.
Quanto allo zio Michele, avrebbe bruciato il cellulare della nipote come faceva con le sterpaglie. Altra prova che inchioda. Gli uomini del Rac hanno pure capito dal “portato mimico facciale” che Michele mente e dunque è colpevole (ma durante l’uccisione di Sarah lo zio pare che dormisse). Spiegano gli esperti criminologi che “il pianto e la risata spontanea “muovono” 35 muscoli facciali” Il pianto di Misseri ne ha attivati non più di 27. Dimostrazione lampante che “il suo comportamento è stato scenico anziché emozionale”. Un dubbio rimane: come hanno fatto a contare ventisette muscoli facciali? Intanto di Avetrana non so molto più di prima. E i temi, quelli veri, non sono nemmeno sfiorati.

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