Chiara Saraceno ha commentato su Repubblica (del 25 luglio 2010) i due casi in cui uomini che hanno perso l’impiego hanno reagito uccidendo i loro datori di lavoro. In un episodio – quello di Lucca – l’omicida ha poi rivolto contro di sé l’arma del delitto. Per la verità la seconda vicenda, quella dell’assicuratore ucciso con una mazza da baseball vicino a Leonessa, in provincia di Roma, è un po’ diversa, trattandosi di rapporti tra due assicuratori che lavoravano insieme, tra i quali certo l’assassino era in una condizione di minore forza contrattuale.
Non sembra comunque una forzatura accomunare, come fa Saraceno, questi delitti ai numerosi suicidi che la cronaca ha registrato in questo periodo di crisi economica acuta sia tra chi perde il lavoro, sia tra chi – come numerosi piccoli imprenditori, soprattutto nel Nord del paese – non è più in grado di garantirlo ai propri dipendenti.
Il fatto è che il lavoro è un luogo simbolico molto importante per il riconoscimento di sé e per il riconoscimento sociale. Se viene meno ciò può “incrinare” la propria “ragione d’essere e di stare al mondo, che non vale più la pena di vivere”. Sono ancora parole della sociologa, che ricorda il contesto del lavoro novecentesco e anche della attuale crisi economica.
In realtà si potrebbe ricordare che la lotta tra “servo e padrone” è un “luogo” classico della filosofia moderna, ripreso e indagato ancora oggi: Hegel ne scrisse come di una lotta per il riconoscimento, in cui sono in gioco la vita e la morte.
Si tratta di una faccenda prettamente maschile, e infatti non a caso Saraceno parla di una dinamica che riguarda soprattutto i “maschi adulti”.
Da questo punto di vista un parallelo potrebbe essere fatto anche con il reiterarsi di delitti compiuti da uomini contro le donne, in genere compagne o mogli che hanno deciso di interrompere la relazione (ne parla qui Franca Fossati). Anche qui viene in gioco il meccanismo del riconoscimento e del senso di sé e dello stare al mondo.
Questi episodi estremi sembrano essere indicatori del fatto che devono essere ancora compiute elaborazioni collettive e soprattutto individuali dei meccanismi più radicali del riconoscimento. Torna in mente – a me torna in mente anche perché l’ho riletto nella tesi su Carla Lonzi che ha appena scritto mia figlia – la radicale affermazione che leggiamo in “Sputiamo su Hegel”: “l’inconscio maschile è un ricettacolo di sangue e paura… abbandoniamo l’uomo perché tocchi il fondo della sua solitudine…”.
Dobbiamo accettare – virilmente? – certi aspetti di questa solitudine, e chiederci se nuovi meccanismi di riconoscimento non debbano essere basati sulla rottura di contesti linguistici e simbolici ormai superati dai tempi. Il lavoro non va più vissuto come una separazione netta dal resto delle nostre vite; l’amore non può essere il riflesso ottuso, cieco, del nostro desiderio; si può vivere un conflitto senza restare vittime della logica che potrà essere risolto solo con la caduta di una delle teste, o al limite di tutte e due.