Che cosa conta di più nell’intervento di Susanna Tamaro pubblicato dal Corriere della sera sabato scorso, il titolo o il contenuto dell’articolo? La prima che ho detto: “Il femminismo non ha liberato le donne”. Così, a tutta pagina, senza neppure le virgolette. Un’affermazione perentoria, ingrata, comunicata come indiscutibile da quello che viene considerato il più autorevole quotidiano italiano. Avete mai letto, con lo stesso rilievo, sul Corriere, interviste, editoriali, commenti di femministe? Quanto spazio è stato dedicato nelle pagine della cultura alle pubblicazioni, numerose e qualificate, del femminismo italiano?
In realtà “il femminismo è stato estromesso dal racconto corrente della società e della politica italiana” scrive Bia Sarasini intervenendo nel dibattito su corriere.it (20 aprile). Che cosa sanno i lettori del Corriere delle femministe e del loro pensiero? Probabilmente quello che racconta la stessaTamaro: “La generazione che nei tè pomeridiani, tra un effluvio di patchouli e una canna, imparava il metodo Karman, cioè come procurarsi un aborto domestico con la complicità di un gruppo di amiche”. Cose da lasciare allibite coloro che con il movimento femminista degli anni Settanta hanno avuto a che fare. Come dimostrano le repliche tempestive di Barbara Mapelli, (19 aprile, corriere.it) e Cristina Comencini (20 aprile) che ricordano ben altro della loro esperienza nel Movimento.
Ma anche Maria Laura Rodotà che si oppone a Tamaro (19 aprile) denunciando la misoginia della società italiana, sembra avere un’idea più che riduttiva del femminismo. Infatti dice che “ha avuto durata breve, è stato marginale”, si è attorcigliato sul “pensiero della differenza” e non ha voluto occuparsi di lavoro, asili nido, coppie omosessuali e diritti vari. Come se il femminismo dovesse essere più o meno come un sindacato o come quel partito riformista che in Italia non c’è mai stato. In realtà entrambe, Tamaro e Rodotà –scrive Marina Terragni- “si allineano e si danno man forte nel dipingere una situazione di illibertà e di debolezza femminile”. Una “propaganda vittimistica e rabbiosa” che ignora la questione maschile, i contraccolpi dell’ “identità maschile che si disfa”.
La prova del fallimento sarebbe, per Tamaro, la promiscuità irresponsabile delle ragazze di oggi, figlie e nipoti delle femministe, omologate dalla “mistica della seduzione”. Ma non è anche questo un effetto, si chiede Sarasini, un travisamento anche, della libertà conquistata? E insieme un prodotto della rimozione e della volgarizzazione del pensiero femminista operata innanzitutto dai media?