In questi giorni politologi, politici, giornalisti discutono con passione del prossimo appuntamento referendario del 21 giugno. I cittadini no, sembrano più distanti. E già questo è un problema perché una consultazione che non coinvolge i cittadini stinge sulla politica, ne sfibra la qualità. Per questo mi sono decisa a scrivere. Sono una donna che in Parlamento e fuori ha sostenuto convintamente i referendum nella prospettiva di un radicale cambiamento dell’attuale legge elettorale, il porcellum, grazie alla quale sono stata peraltro eletta nelle liste del PD.
Peraltro sono una donna che da sempre sostiene la necessità, per il nostro Paese, di un sistema elettorale maggioritario (ho firmato, infatti, per il ritorno al Mattarellum) come garanzia democratica del principio dell’alternanza.
Quando sono stati depositati i referendum, tutti bocciati dalla Corte tranne questi, il tentativo mio e di molti altri tra i quali l’allora premier Romano Prodi, aveva il seguente obiettivo: bisogna cambiare la legge elettorale; il governo è decisamente intenzionato a farlo aprendo in Parlamento e nel Paese un’ampia discussione.
Resto convinta che il porcellum vada cancellato poiché prevede un premio di maggioranza attribuito ad una coalizione senza alcun riferimento alla percentuale dei consensi ricevuti e liste elettorali predefinite nell’ordine delle candidature con addirittura la possibilità per i candidati di presentarsi in tutti i collegi. Un evidente scempio legislativo e politico.
Ma con l’attuale referendum le prospettive sono ancora più nere. Viene infatti mantenuto il premio di maggioranza, addirittura trasferito alla lista che ottiene il miglior risultato e le liste delle candidature restano bloccate. I cittadini non hanno potuto scegliere alle scorse elezioni e tantomeno lo potranno fare in quelle future.
Oggi, peraltro, questo referendum si svolge in un tempo cambiato, sullo sfondo della tempesta finanziaria mondiale e di un Paese, il nostro, investito da una pesante crisi economica e da una profonda involuzione culturale e democratica. Di questa crisi fanno e faranno le spese ancora una volta gli uomini e le donne che vedranno peggiorare le loro condizioni di vita e i loro diritti, compresi quelli di liberi elettori/elettrici, e le istituzioni democratiche come il Parlamento che giorno dopo giorno viene svuotato delle sue prerogative e umiliato dai continui voti di fiducia o dall’uso improprio della decretazione d’emergenza.
Anche gli attuali quesiti referendari vanno in questa direzione, poiché con l’alibi della governabilità aprono la strada ad una pesante limitazione della rappresentanza parlamentare.
Vorrei poi ricordare che per come è formulata la legge referendaria nel nostro Paese sono previsti tre atteggiamenti di voto, il si, il no e l’astensione. Tutti e tre esprimono un comportamento responsabile, eticamente non sindacabile (come alcuni in maniera ben poco rispettosa e corretta sostengono), non ultimo quello previsto dalla legge di impedire il raggiungimento del quorum. Io sono sostenitrice, come molti altri, di questo terzo comportamento, che considero dunque una astensione attiva.
Detto ciò non possiamo noi eletti/e rimanere senza far nulla tenendoci l’attuale legge elettorale. Come altri sono d’accordo perché si faccia da subito una legge per abolire il premio di maggioranza e perché si apra da domani un tavolo di discussione con tutte le forze politiche disposte a cambiare il porcellum per dare al nostro Paese un sistema elettorale buono che garantisca la libera partecipazione e la legittima rappresentanza delle forze politiche e dei cittadini/e.
Per quanto riguarda gli eletti e le elette, parlo per ma –mi figuro- anche per le mie colleghe, essere scelte dalle segreterie dei partiti, si trasforma speso in un’umiliazione.
E’ un metodo che non giova all’autonomia di noi parlamentari, non aiuta a riavvicinare la politica ai cittadini ma finisce per rappresentare l’ennesimo segnale d’allarme sullo stato della nostra democrazia.