Quattro giorni. Tanto è durato il processo al padre stupratore, seviziatore, rapitore e schiavista Josef Fritzl. Se ne compiacciono Michele Brambilla su Il Giornale (“Giustizia lampo, una lezione dall’Austria”, 20 marzo) e Riccardo Barenghi su La Stampa (20 marzo).
Altro che le lungaggini italiane, con tutto il corredo di gossip, indiscrezioni, esperti: “neanche un piccolo brano del video di accusa della vittima è uscito dalle aule giudiziarie per essere sbattuto su qualche schermo e magari sezionato e commentato dagli invitati d’occasione, psicologi, politici, giornalisti”. Vero. Porte chiuse, udienze essenziali, sentenza inequivocabile: ergastolo.
Eppure c’è qualcosa che non torna in questo processo lampo. Perché “da una parte c’è lui, il colpevole. Ma dall’altra c’è un clima, eternamente assolto”. Così scrive Giancarlo Visetti (La Repubblica, 17 marzo) che spiega: “Non c’è la donna che ha condiviso la vita con Fritzl, scegliendo di non sapere. Non ci sono i vicini di casa che hanno preferito prendersi qualche giorno di vacanza. Non ci sono agenti e magistrati che non si sono accorti affidandogli i figli-nipoti generati dagli stupri, di una condanna per violenza sessuale. Non c’è Vienna, che ha rinunciato a costituirsi parte civile contro chi ha abusato di tutti gli austriaci”.
E’ quindi fondato il timore “che il processo di St.Poelten non abbia smosso nulla e per questo dà l’illusione ottica di una vittoria” (Paolo Di Stefano, Corriere della sera, 20 marzo). Anche Lucia Annunziata, rispondendo a un lettore su La Stampa (19 marzo), si chiede dov’era la madre, complice silenziosa, e arriva ad augurarsi che sia messa anche lei alla sbarra, accanto al “mostro”.
Sappiamo poco dei commenti sulla stampa austriaca, di sicuro i grandi giornali hanno dimostrato una certa insofferenza per la curiosità dei media internazionali. “Gli austriaci –dice a Repubblica il regista Stefan Ruzowitzky- non amano né il confronto né lo scontro, pensano che sia un inutile spreco di energie”. E Petra Stuiber su Der Standard scrive che tutto dipende dall’opprimente cultura patriarcale e misogina della ricca Austria.
Rincara la dose Elfriede Jelinek , scrittrice e premio Nobel, che così ha commentato sul suo sito: “In Austria le proteste non piacciono, non hanno mai avuto fortuna, tutto deve rimanere entro le mura di casa, non deve uscire nulla se no la gente sparla, e all’estero è meglio che sentano il ballo dell’Opera e il Concerto di capodanno, non le urla che si levano dalla cantina e a cui qui nessuno fa caso” (Agr.corriere.it).