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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Guerra, sostantivo poco femminile

14 Gennaio 2009
Pubblicato il 9 gennaio 2009 su "Europa"
di Franca Fossati

“Non ho una notizia. Non sono a Gaza. Non vivo la guerra. Sono arrabbiata e mi sento impotente…quando penso alla guerra mi viene in mente la parola mancanza”, così Enza Panebianco in un post inviato a femminismo-a-sud.noblogs.org. “Mi sono chiesta perché siamo, sono, sempre a dover scegliere una delle parti in guerra se ho orrore della guerra? E perché mentre scelgo, so, dentro di me, che in quel modo contribuisco a continuare la spirale simbolica della guerra” scrive Clelia Mori sul Paese delle donne on line.
Sui blog le donne discutono della guerra di Gaza e molte, quelle che sanno poco di politica estera, ma che non si affidano agli slogan facili, esprimono disagio, rabbia, impotenza. Non sanno parlare della guerra. Sopraffatte dai sentimenti, dall’orrore per i bambini uccisi. Non riescono a darne una lettura politica. Anzi, come Clelia Mori, la vedono come negazione della politica : “E’ un pensiero che è in crisi, un pensiero unico che non sa quasi mai fare quello che invece promette nelle elezioni: la politica”.
Probabilmente nessuna saprebbe rispondere alla domanda su quale politica potrebbe convincere Hamas a fermare i missili e riconoscere Israele. Pensano, sognano (sogniamo), che la politica debba escludere la guerra dai suoi orizzonti. Esattamente il contrario della stra-citata massima di Von Klausevitz secondo il quale la guerra sarebbe la prosecuzione della politica con altri mezzi.
Pacifismo ingenuo? Oppure intuizione profetica? Ce ne sono molte altre invece che la guerra la fanno per mestiere o per convinzione patriottica. Soldatesse e non solo. Non è insignificante, infatti, che sia una donna, Tzipi Livni, ministro degli esteri israeliano, a negare, dopo una settimana di bombardamenti, che esista a Gaza una emergenza umanitaria. Ci sono quelle che addirittura esaltano la guerra e la violenza. Come le giornaliste della tv di Hamas, raccontate da Emanuela Zuccalà su Io donna lo scorso 1 novembre. Giornaliste velate che quotidianamente incitavano all’odio anti israeliano intervistando madri, sorelle, mogli di kamikaze tutte orgogliose delle stragi commesse dai propri congiunti e del loro martirio.
Ci sono poi quelle che, pur schierate con una parte, quella palestinese, non rinunciano a pensare. Come Manuela Cartosio, giornalista de Il Manifesto, che chiede al suo giornale perché non prenda le distanze da manifestazioni che bruciano bandiere ed equiparano la stella di David alla svastica. Cortei di donne e uomini che si chiudono con soli uomini inginocchiati a pregare Allah. Anche se in questo caso, commenta Cartosio, “l’esclusione delle donne è benvenuta”.

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