Anima / Corpo

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Un umanesimo senza donne

8 Gennaio 2008
di Franca Fossati

La “moratoria” sull’aborto proposta da Giuliano Ferrara ha inondato non solo Il Foglio , dal quale oramai straripa, ma è diventata commento quotidiano su tutta la stampa. Ciò è avvenuto dopo il sostegno dei vescovi e il discorso del Papa agli ambasciatori che, come ha scritto Aldo Maria Valli su questo giornale, ha un respiro ben più ampio e, soprattutto, riconosce un valore in sè alla moratoria dell’Onu sulla pena di morte. Nel dibattito, infatti, pochi operano la distinzione fondamentale, che richiama Luigi Ferrajoli su Liberazione (8 gennaio): la pena di morte “è decisa dallo stato sul corpo di un cittadino, l’aborto è deciso dalla donna sul proprio corpo”.
Ogni donna lo sa. E conosce, e teme, il suo potere. Fin da quando, ancora bambina, scopre il sangue mestruale che la accompagnerà per un lungo tratto della sua vita.
I Papi, i principi e i loro zelanti consiglieri, scrive Ida Dominijanni su Il Manifesto (8 gennaio), “sanno benissimo che una legge può riconoscere questa sapienza femminile e il potere sulla vita che ne deriva, ma nessuna legge può revocarli”. Che cosa muove, allora, si chiede Dominijanni, “la mobilitazione permanente sulla questione dell’aborto che agita le democrazie occidentali?”
La risposta è semplice. Ricondurre il primato femminile sulla vita “nell’ombra di quella dimensione ‘naturale’ da cui la parola femminile lo strappò alcuni decenni fa per portarlo alla luce del sole, della politica, del diritto”. Quello che si va cercando è quindi la riproposizione di un umanesimo senza le donne?
Lo afferma Antonio Scurati su La Stampa (7 gennaio) dove, con la stessa superbia, purtroppo, degli antiabortisti militanti, rivendica la superiorità etica della concezione materialista contro lo spiritualismo cristiano.
Secondo Alberto Leiss, firma maschile coraggiosa (donnealtri.it), con la sua campagna “Ferrara dà voce, più o meno consapevolmente, a una diffusa frustrazione maschile rispetto a un mondo che in questi decenni –dopo la rivoluzione degli anni ’60 e ’70, nella sua parte più vera e profonda una rivoluzione femminile- è stato sovvertito dalla libertà delle donne”. Il corpo della donna, continua Leiss, e quindi la sua volontà, viene avvertito “non come il mezzo indispensabile, e per fortuna ancora così misterioso, per dare forma alla vita umana, ma come un ingombro di cui si farebbe –scienza permettendo- volentieri a meno”.
Di tutt’altro avviso Marina Corradi in polemica con Scurati (Avvenire , 8 gennaio). Travolti dal “panico” sarebbero coloro che hanno “come idolo la assoluta libertà individuale, indifferente ad ogni altra istanza etica”. Indifferenti, le donne che abortiscono?

Questa rubrica è stata pubblicata su Europa

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