Storie / Corsivi

racconti di persone, polemiche ad personam

Cara Giovanna, le donne non sono uguali

2 Dicembre 2007
di Letizia Paolozzi

Qualcosa ancora sulla manifestazione di sabato scorso, perché da lì bisognerà ripartire e perché il direttore di questo giornale (Paolo Franchi, sul Riformista) ne ha scritto in modo attento e curioso.

Provo a dire qualcosa su ciò che c’era e ciò che mancava.
Intanto, era una manifestazione femminista doc. Ma scusate, non davate per morto il femminismo (tra i tanti, il giornalista Corrado Augias qualche giorno fa su Repubblica)? Invece – divina sorpresa – il femminismo ritorna. Ed è, appunto, separatista.
Di nuovo? Ma sì, care amiche Armeni, Mafai, e altre ancora, se molte donne, trent’anni fa, non si fossero separate – simbolicamente, state tranquille – dagli uomini, non avrebbero cambiato, in meglio, il modo di stare insieme, nella coppia. Con i figli. E nel lavoro. Anche gli uomini, tranne i più coriacei, lo ammettono.

Ora, le manifestanti sono ricomparse all’improvviso. Slogan antichi e piumini scuri. Del resto era successo per difendere la legge sull’aborto a Milano due anni fa (il 14 gennaio 2006). Cuore del corteo: “L’assassino ha le chiavi di casa“. Lui ti dorme accanto nel letto e sì, te lo giura, ti ama da morire.
Dunque, al centro della manifestazione la sessualità maschile e la violenza insita in quella sessualità. Questa fu la scoperta, in luoghi separati, di trenta anni fa. Il lavoro continua, non è finito. Sì, va bene, gli uomini hanno costruito grandi imprese e mirabolanti cattedrali. Ma come la mettiamo con quella passione che hanno di misurarselo tra loro e se una donna gli dice Bello, ciao, fanno subito una strage in famiglia, vicini di casa compresi?
Giusto per fornire qualche informazione, senza le librerie, i collettivi dai nomi impossibili, i centri antiviolenza, non ci sarebbe teoria, pratica politica, e capacità di reagire. Di agire. Questi sono i luoghi delle donne.
Voi che frequentate attivamente i partiti, i direttivi, i regionali, i provinciali, le assemblee costituenti, gli staff, i coordinamenti, avete notizia di una discussione simile e se anche lì si parla della differenza dei sessi oppure del rapporto con il potere?
La sessualità maschile è un affare complicato. Un affare molto politico.
Oggi, d’altronde, non vi impressiona che questa sessualità abbia a che fare (e non poco) con gli episodi di bullismo a scuola (quasi tutti adolescenti maschi), con il bisogno di menar le mani degli ultras fino agli scontri con la polizia (che ha sostituito nell’immaginario di molti ragazzi il nemico fascista o comunista)?

Sarebbe interesse del ministro all’Istruzione (e non solo di qualche gruppo di brave insegnanti) pensarci un po’ sopra. E ci guadagnerebbe in saggezza la ministra allo Sport e alle Politiche giovanili che pure qualcosa intuisce sul “Riformista“ quando cita quel “male sottile che si insinua nelle nostre società“.
A proposito di Giovanna Melandri, e lasciando da parte la contestazione di piazza Navona e le sue reazioni espresse in un linguaggio non proprio oculato, è l’idea di fondo che non mi convince. Diversamente da Giovanna, io non ho mai creduto che le donne siano tutte eguali. Che la pensino allo stesso modo; che abbiano lo stesso progetto. Che, insomma, vadano prese come un tutto unico e indifferenziato. A meno che non siano viste solo come vittime da tutelare.
In effetti, Melandri parla di “difesa dei più deboli e dunque delle donne“, il che, poi, la costringe a contorcimenti come quello di distinguere il grano dal loglio e cioè di “capare“ in una manifestazione le tante buone dalle poche cattive autrici della contestazione.
Ma il punto più serio, rivelato dalla vicenda della postazione della Sette, a me pare un altro: la lontananza, quando non si tratti di indifferenza esplicita, del ceto politico femminile (con le dovute eccezioni) dalla politica delle donne.
Questo non significa che la manifestazione non ponga dei problemi. Principalmente, sull’esclusione di quegli uomini che hanno cominciato a ragionare sulla violenza “invisibile“. Se “l’assassino ha le chiavi di casa“, la violenza si scatena nell’80 per cento dei casi tra le mura domestiche. Lì il rapporto tra vittima e aggressore non ha nulla di limpido.
Donne che accettano, che abbozzano, che tacciono: per amore, perché non possono fuggire, perché sperano che lui cambi? Uomini che si trasformano all’improvviso: per sfogarsi, per dimostrare che “nonostante le femministe“ lui resta il padrone, perché lei minaccia di lasciarlo?

Un nodo oscuro, che non si scioglie solo con la lotta di piazza, rivendicativa, legislativa. Nessuno, uomo o donna che sia, può chiamarsene fuori. Se la violenza è interiorizzata la modificazione di questo ordine simbolico ci riguarda tutti. Nessuno escluso.
Letizia Paolozzi

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