Merci / Desideri

produrre e consumare tra pubblico e privato

Denaro e desiderio

1 Agosto 2007
di Monica Luongo

Il seminario estivo residenziale della Sil a Frascati si è occupato della relazione tra donne e denaro, generazioni permettendo…Ecco la relazione introduttiva di Monica Luongo e quella di Monica Giovannoni presentata nella sessione dedicata al lavoro
Qual è il rapporto che hanno le donne con il denaro? E cosa è cambiato negli ultimi 30 anni?
Non molto credo, guardando la cosa dal punto di vista della relazione che la maggioranza del sesso femminile – italiano? – intrattiene col mezzo di sussistenza. A guardare i numeri che ormai potremmo recitare a memoria, a parità di diritti sulla carta le donne contano meno, decidono meno, guadagnano meno.
Poche fanno come Guappetella, la volitiva protagonista del bel racconto di Valeria Parrella Dritto dritto negli occhi, che per mettere la testa fuori dai vicoli di Napoli e diventare una signora, comincia da giovane il suo percorso di conquiste per arrivare all’emancipazione e all’indipendenza. “Fatte mettere a casa ‘nfaccia”, fatti intestare una casa, suggerisce la mamma alla giovane che prima è stata amante dello Stuort’, lo zoppo, impegnato nelle scommesse clandestine e sposato e poi del Principe, titolare di alcuni negozi di abbigliamento in odore di camorra. Non è importante l’etica, l’importante è farcela, uscire dall’ignoranza e dai colori sgargianti, essere in grado di vivere del proprio reddito e incarnare la nuova strada nei colori sobri dei tailleur firmati Marella. Chi può giudicarla? Guappetella non fa male a nessuno, nemmeno alla moglie del primo amante, che gli va a parlare quando lui rimane ferito dopo un regolamento di conti: tutto sommato è lei la titolare di quel rapporto ed è giusto che nella buona e nella cattiva sorte lui torni da lei. Ma soprattutto Guappetella non fa del male a se stessa: quante noi sono capaci di fare la stessa cosa? Come non sentire in molti casi la sofferenza di quel “contare meno” che regola ancora i rapporti di denaro-potere tra uomini e donne all’interno della coppia, del lavoro, dello studio?
Non ho intenzione di parlare del rapporto col denaro legato al mondo del lavoro, che sarà più meritatamente affrontato in questo consesso da Adriana Nannicini. Vorrei restarne a lato, cercando interrogativi nella relazione psicologica che ci lega al denaro. Tutto deve essere cominciato in casa: indipendentemente dal reddito e direi anche dalla generazione di appartenenza. Gran parte delle bambine ha sotto gli occhi una madre che gestisce i conti di casa e l’economia domestica, che lavora e quando va bene riceve una busta paga; ma non vede mai una madre che negozia il tasso di interesse di un conto in banca, che specula sugli immobili, che cerca investimenti sul giornale della domenica o decide se gli edge fund sono meglio dei pronti contro termine. Le signore del futuro sono quelle che oggi studieranno, guadagneranno sapere, sapienza e autonomia, e se tutto va bene una casa da dividere con gli amici ma non con il fidanzato. Ma soprattutto non rischieranno in prima persona per procurarsi il denaro o per farlo moltiplicare. Alle signorine di una volta veniva insegnato che è degli uomini il governo del denaro, e solo alle meretrici l’amministrazione e il reddito autonomo. E infatti quante sono le donne che pagano i/le partner per un rapporto sessuale?
Le vere signore non parlano di soldi, dicono le donne intervistate da Anna Talò, e infatti non dicono mai quanto guadagnano e riconoscono che esso è solo un mezzo, in un mondo che ne ha fatto l’idea platonica dell’esistere, dell’essere e del rappresentarsi. Perché non ne parlano? Non solo, credo, per rispetto di quelle che non hanno soldi, ma per quella insita pruderie che ci fa entrare in banca col cappello in mano, timorose di domandare lumi sui nostri diritti di consumatrici, che ci fa divenire più facile ricorrere alla generosità di una amica che non affrontare personale dietro una scrivania.
Povere o meretrici? Non c’era alternativa. La rivoluzione giovanile degli anni 60-70 ha provato a scardinare il vecchio sistema capitalista che si portava dietro questi edificanti costumi sociali. Le femministe degli anni Settanta iniziano a rendersi conto della morsa che chiude le donne tra impiego, lavoro di cura e gestione del tempo, che lascia fuori gli spazi interiori, le stanze tutte per sé. In questo la politica del tempo non risolveva tutti i problemi: eravamo angeli del ciclostile, buone a fare copie per il volantinaggio ma fuori dalle grandi strategie di lotta, e invece noi il sistema lo scardinavamo partendo da noi, scavando nell’anima e prendendo di petto la paura, altro che ciclostile.
Ce ne andavamo sbattendo la porta di casa perché il denaro dei genitori non lo volevamo (ma diciamo la verità: nemmeno poi che ce lo offrissero generosamente), perché era sempre frutto di compromessi insostenibili: te lo do se fai come dico io, te lo do se ti comporti bene, te lo do se sposi chi dico io, te lo do se studi, perché solo così avrai fatto solo la metà del tuo dovere. Ce ne siamo andate perché il denaro era solo un mezzo per cambiare il mondo: volevamo una casa? La prendevamo vecchia e ci vivevamo in venti, volevamo uno spazio per la politica? Lo occupavamo. Volevamo degli abiti da cambiare come sempre ci è piaciuto ed è bello fare? Abbiamo inventato la moda dell’usato. Certo, questo modus vivendi e operandi non ci salvava da tutto, e lo racconta con tenerezza Laura Pariani: la giovane madre compagna che non vuole nulla di consumista per il Natale di suo figlio, si imbatte impotente nel resto del mondo sfavillante di luci e lustrini.
Oggi sappiamo che non è più così: il denaro non è più solo mezzo per l’obbiettivo da raggiungere, è il tutto, costruisce la personalità e identifica l’individuo: le donne degli spot in tv, le massaie alle prese con il miglior detersivo, i figli con i videogiochi, il gelato che per essere buono deve essere soprattutto sexy. Denaro reale e denaro virtuale: su Second Life, la community più frequentato del mondo il denaro elettronico può essere cambiato, investito e giocato in dollari veri, se penso a cosa avrei potuto fare col vecchio monopoli…
Oggi le donne giovani dicono che non possono uscire più da casa perché non hanno lavoro e le case non si possono più occupare: si definiscono prima di tutto precarie sia che siano dentro l’università sia che lavorino nei call center. Non possono sposarsi perché non hanno i soldi per l’affitto. Nemmeno loro vorrebbero il denaro dei genitori. Ma per fortuna l’attesa è scandita spesso da rapporti familiari migliori, perché madri e figlie hanno rapporti migliori: perché io sono felice di dividere il mio denaro con i figli e la mia felicità è guadagnarlo anche per loro. E qui ho in mente un’altra domanda: e se di fronte a tanto precariato e a così poco denaro, tutte insieme sbattessimo la porta del luogo di lavoro e smettessimo di lavorare, come tante pendolari dell’esistenza che occupano i binari del sistema? Il pensiero non può che tornare alla politica: qual è il pensiero oggi che ci unirebbe tanto da farci sbattere le porte?
Pure, anche le donne più grandi che hanno lavoro e soddisfazioni sono timorose: non investono, considerano sconveniente una spesa voluttuaria, si vergognano quando lo fanno. In poche parole parlano dei soldi spesi per vivere e non quelli che potrebbero far fruttare, parlano della casa e non del denaro, come sempre sono brave formiche e non scandalose meretrici.
Oggi dopo un lungo cammino sono felice quando spendo il denaro per me stessa, mi regalo una vacanza, entro spensierata in profumeria. Chiedendomi nei mesi preparatori di questo seminario la differenza tra me e altre amiche rispetto al rapporto con il denaro, ho trovato la risposta proprio in vacanza: perché sono qui senza la famiglia e sul bordo di una piscina (seppur con l’occhio della spia del computer che vigila)? Perché sono stata brava, faccio una vita responsabile, mi guadagno il mio posto nel mondo sudando e dunque se qualcuno non mi premia per essere donna responsabile, moglie e madre impeccabile, corretta e impegnata politicamente, generosa e disponibile con le altre, lo faccio da me, mi premio e mi faccio regali. Senza perdere la memoria di un passato molto più difficile dell’oggi, dove ho imparato a vivere con l’essenziale. Vorrei tornare indietro? Nemmeno per un attimo, ma mi fa sentire più ferma sulle gambe il fatto che saprei come ricominciare.
Qualcosa, nel rapporto profondo che noi donne abbiamo col denaro, pure sta cambiando. La scrittura lo anticipa come sempre con forza. Le donne che hanno pubblicato i loro racconti nella raccolta Quote rosa sono l’espressione di una scrittura che riflette e insegna su come stare oggi nel mondo, in questo stato delle cose. Sogni romantici, determinazione e ricerca di una sistemazione non rincorrono l’horror degli Ammaniti, le denunce dei Saviano, le donne sconfitte e baffute della Sardegna del misogino Niffoi. Raccontano di un quotidiano difficile, che magari solo per poco tempo nell’arco del giorno consentono una fuga: una pagina di libro, la confidenza di un’amica, l’amore per la nonna, la determinazione e il disincanto di una velina. Con una scrittura materica che trova lo spazio per il sogno, che tiene insieme sogni e durezze, che fa sperare un futuro migliore, come da piccola si sognano scarpette da ballo, in un futuro ricco di donne che un giorno in banca entreranno senza paura, manager e meretrici, precarie, straniere e studentesse.

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