Sui temi che interessano la Chiesa cattolica e la religione in generale, mi pare che in Italia stiamo perdendo l’orientamento, da una parte e dall’altra (ammesso e non concesso che ci siano solo due parti). Certo che si è persa una capacità di mediare che esisteva fino ad un passato non lontano. Se potessi parlare a Benedetto XVI, gliene direi quattro, ho già pronto un incipit alla veneta: «ma benedetto Benedetto, che cosa stai combinando?». E gli ricorderei Elisabetta Prima d’Inghilterra, che, a detta degli storici, fu una grande sovrana per un’unica capacità politica che possedeva, quella di saper scegliere i consiglieri e i ministri.
Ma là io non arrivo. In compenso posso arrivare al manifesto, con alcuni appunti che, senza risolvere niente, vorrebbero servire da orientamento.
Per cominciare, le radici cristiane. Nella scuola, intendo quella laica e statale, si insegna, da sempre, che al mondo antico siamo collegati in maniera erudita e ideale dalla cultura umanistica, ma in maniera diretta e reale dall’Europa cristiana. Nella prima versione della Costituzione europea si parlava di radici nel mondo antico, nel Rinascimento e nell’Illuminismo, saltando il Medioevo: quelli che hanno protestato, avevano ragione. Non riconoscerlo subito e volentieri, se non altro per rispetto della verità storica, è stato un errore politico (che ora si paga).
Vera Pegna, esponendo la questione della laicità nella Costituzione dell’Europa, su questo giornale, il 28 marzo, si chiedeva: qual è la vera posto in gioco della rivendicazione delle radici cristiane? E rispondeva, citando un giurista: si vuole dare fondamento costituzionale a poteri, privilegi e immunità per le confessioni religiose.
Io protesto contro questo modo di ragionare: a questa stregua, dovremmo pensare che il riferimento alle radici antiche nascondesse il proposito di restaurare la schiavitù o l’esclusione delle donne dalla vita pubblica.
Passo all’incredibile storia dei Pacs e dei Dico.
Come siamo arrivati a questo insensata opposizione da parte della gerarchia cattolica?
Ancora un anno fa, diceva un monsignore romano di cui non ricordo il nome, ma le parole sono indimenticabili: le coppie di fatto sono un fatto e i fatti vanno riconosciuti. Suggerisco che, da parte laica, si riconsideri un punto almeno, e cioè il giudizio che meritava la mossa di Zapatero il quale, senza un dibattito esteso e approfondito, avvalendosi della maggioranza parlamentare e di una lacuna del codice civile (che non esplicitava che il contratto matrimoniale era tra una donna e un uomo), ha cambiato la fisionomia etica del matrimonio così com’è stato inteso e praticato fino ai nostri giorni. Un modo di procedere troppo disinvolto abbassa la qualità della politica, con conseguenze che bisognerebbe mettere in conto.
Di notevole disinvoltura politica ha dato prova, indubbiamente, anche l’ex capo della Conferenza episcopale italiana, card. Ruini, invitando i cattolici a disertare le urne così da far fallire i referendum sulla legge 40. A questo proposito vorrei, però, rimarcare due cose.
Primo, contro «i preti» che fanno politica si polemizza in nome di una separazione tra Stato e Chiesa che è un’invenzione della civiltà laica borghese alla quale «i preti» hanno aderito giocoforza. Con ogni evidenza, Ruini (e altri come lui) è un uomo politico di destra vestito da cardinale, con il quale bisogna misurarsi sul campo di battaglia.
Secondo, sullo specifico campo di battaglia dei referendum, non si è tenuto conto che molte donne non erano d’accordo con l’impostazione referendaria e lo hanno fatto capire quando ne avevano i mezzi, ma non sono state prese in considerazione né prima né dopo, di modo che la sconfitta dei referendum viene accreditata a Ruini, la cui disinvoltura politica finora è rimasta impunita e viene anzi premiata dalle analisi di sinistra.
Gli esponenti della sinistra dimenticano troppo facilmente che certe contrapposizioni, come destra/sinistra, credenti/non credenti, laici/integralisti, non corrispondono alle donne, non hanno rispondenza con i loro interessi (esclusa una minoranza), così come ne hanno sempre meno con quelli delle classi popolari.
Certe volte, a leggere il manifesto sui temi di confine tra società e vita religiosa, credo di avere in mano il giornale dei radicali e non un quotidiano comunista, come continua a chiamarsi (cosa che me lo rende caro e simpatico). Come se il giornale avesse dimenticato che il cattolicesimo, sul tema cruciale dei rapporti tra capitale e lavoro, insegna in lungo e in largo il primato del lavoro: «il lavoro ha una priorità intrinseca rispetto al capitale», recita il recente compendio della dottrina sociale della Chiesa mettendo sotto accusa certe conseguenze della globalizzazione sulla condizione delle persone che lavorano.
Che cosa c’entra, si potrebbe obiettarmi, con i diritti delle coppie di fatto e con la laicità della politica? C’entra, c’entra. Se non sappiamo come e perché tenere collegato quello che nell’esperienza comune non sono capitoli separati, ma un groviglio di vissuti, vuol dire che ci fa difetto la capacità di pensare politicamente.